giovedì 8 agosto 2019

ignude sirene

SUL DENSO MARE 

nuota spesso il pensiero e non è male
che di sguardi non abbia più approdi o
larghi imbarchi per l’amare a derive
di quel bel giuocare a fare il cantore
con le ignude sirene sul muto cuore
che ora lo destano a sepolte memorie
per la mano ferma sotto l’astro spento

sulle sponde a ponente di nostra attesa:
che a lemmi di sale non ritorni a quelle.

G. Nigretti, da Derive della mano, 2019




Carissimo, di primo acchito le tue poesie non sono facili, ma poi bisogna farsi prendere per mano dal testo e cercare sentieri conoscitivo/interpretativi. Qui il paesaggio è il denso mare, mare oscuro, pieno di insidie. Ma anche di malie e di miraggi (le sirene) che tanta parte hanno nella vita.

Ci sono due fuochi: uno esterno, il mare (con una serie di parole ben conteste/connesse) e l'altro interno (pensiero, sguardo, muto cuore, destano, amare, mano ferma...).
La linea tematica comprende nel suo tracciato: pensiero, sepolte memorie, attesa, lemmi di sale. Qui dentro è compresa tutta una vita. 

Il poeta - ironico con sé stesso - ha spesso giocato con le parole, ben conscio del loro potere incantatorio e straniante, come il mitico canto delle sirene (ancora una volta, il mito getta un cono di luce sull'interpretazione della vicenda umana). Ora ancora lo destano, "ignude", sensuali forme oniriche dal canto mielato ma ominoso.
Ma il cuore è muto, le memorie sommerse nel profondo, la mano è ferma (inceppata?), l'astro è spento. Ora Egli si trova sulle sponde a ponente, sulle rive d'occaso, alla fine del giorno, quando la vita non è più una promessa, ma l'attesa della fine. Egli non vuole più riappropriarsi di tutti quei momenti perduti nel tempo, che hanno l'amaro sapore del sale.

Nelle sirene è rappresentato il canto che ammalia e che uccide (hanno disseminato di cadaveri l'isola, Omero. Libro XII). La loro voce melodiosa e sfidante promette la conoscenza (ma Egli va dopo averne goduto, sapendo più cose, Omero, XII). Per questo Ulisse chiese nodi più stretti e doppi, per non cadere nel loro inganno e continuare il viaggio.

Le ho viste al largo cavalcare l'onde
Pettinare la candida chioma dell'onde risospinte
.............. 
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune. 
Finché le voci ci svegliano e anneghiamo 

Eliot: Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock

p.s.: cosa promettono le sirene? Di svelare al viandante ciò che accade ed è accaduto sulla terra, per renderlo finalmente  sapiente.

Omero. Libro XII

Nessuno è mai passato di qui 
Con la nera nave
Senza ascoltare con la nostra bocca
Il suono di miele
Ma egli va dopo averne goduto
E sapendo più cose

La conseguenza? 

... intorno è un
Mucchio di ossa
Di uomini putridi
Con la pelle che raggrinza

Ornella Cazzador


venerdì 2 agosto 2019

timoniere dell'aria


DE-SIDERA di Ornella Cazzador

Poeta, non incagliare il tuo legno
disancorato sulle sabbie del tempo;
non fare che si infranga sull'onda
rapinosa delle scogliere. 
Non sporgerti oltre sul buio
né sostare sul filo indecidibile
della faglia.
Ma continua il tuo viaggio
- timoniere dell'aria - 
scrutando il cielo. 
Ai cristalli dormienti della notte obliosa 
segue l'oro delle aurore;
il tocco di perla della luna
governa le maree della vita. 
E mentre attraversi i più fiochi vortici
di luce concentrici
verso il punto di verità, 
restano ferme le montagne, 
scorrono i fiumi verso il mare, 
risuona il silenzioso moto dei pianeti. 
Non temere, piccola anima, 
di desiderare l'universo. 
La nostra polvere dissolta nello spazio infinito
scintillerà come scia di ritornanti comete.

mercoledì 31 luglio 2019

erranti memorie


DI NOTTE A LÈVICHE 

Qui che le case non hanno le porte
solo la notte apre gli occhi alle volte:
che portano per le erranti memorie 
nei cieli del sognare con le mani
al pelago aperte che ci guardava
l’andare a volare con i gabbiani
sulle reti emerse dal fondo mare

ricolme di miele dell’antico cielo e
di parole che la dolce carta chiama.

G. Nigretti da Derive della mano, 2019

Lèviche”: Santa Maria di Leuca in dialetto salentino


Lèviche è il luogo in cui le case non hanno le porte; solo la notte apre gli occhi alle volte… Il tempo è il presente del poeta.

Il tema: la notte reca memorie erranti e sogno/desiderio si fanno tutt’uno nell’animo del poeta, come pelago e cielo si immedesimano e si mescolano nella loro vastità.
(La L che ricorre in entrambe le voci lessicali, essendo un suono continuo, amplifica la loro estensione).
Il desiderio del librarsi in volo è evocato dai gabbiani nel cielo; mentre le mani sono aperte sull’oscurità del pelago, la cui profondità è connessa all’idea delle reti emerse dal fondo mare. In questo mare, il poeta pesca i ricordi sommersi, un momento realmente accaduto.

Al poeta giungono nel sogno le memorie, analogicamente riferite alla dolcezza del miele, colato sotto un cielo antico; lontano favoloso; e la nostalgia, il desiderio, il sogno chiedono di avere voce nel linguaggio poetico.

e ti scrivo da qui, da questo tavolo
remoto, dalla cellula di miele
di una sfera lanciata nello spazio…

(Montale, Notizie dall’Amiata)

Solo la poesia - attraversando il mondo delle cose per approdare a quello simbolico del verso - può dare alle cose passate una voce, ancorché di-versa, (perché le cose passate hanno una voce diversa), ma capace di eternare l’attimo fuggito e perpetuare pezzi pur perduti di vita trascorsa.

La poesia è quindi avventura dell’anima tradotta in parola, congiunzione ineffabile di suono e di senso, che può traghettare nella dolce carta le cose del passato. 

Quest’ultimo appare trascolorato e impalpabile (Un murmure; e la tua casa s’appanna / come nella bruma del ricordo - Montale, Sotto la pioggia) a confronto col presente doloroso, ma vero. Così si rende esprimibile/rappresentabile il dramma dell’uomo, gettato in un mondo di contrari: speranza e disperazione, oblio e ricordo; straniato di fronte alle derive imponderabili della vita.

Con lieve cuore, con lieve mano / la vita prendere, la vita lasciare. (Cristina Campo)

Ornella Cazzador

giovedì 18 luglio 2019

fuggir laggiù


BREZZA MARINA di  Stéphane Mallarmé

La carne è triste, ahimè! E ho letto tutti i libri.
Fuggire! Fuggir laggiù! Sento uccelli che son ebbri
di vivere tra la schiuma sconosciuta e i cieli!
Niente - neanche gli antichi giardini riflessi dagli occhi -
tratterrà questo cuore che nel mare s'immerge.
O notti! Né il chiaror solitario della mia lampada
sul foglio vuoto che il candor difende
e nemmeno la giovane donna che allatta il suo bambino.
Partirò! Nave che dondoli i tuoi alberi,
leva l'ancora per un luogo esotico!
Una Noia, delusa da speranze crudeli,
crede ancora al supremo addio dei fazzoletti!
E, forse, gli alberi, che invitano le tempeste,
son di quelli che un vento inclina sui naufragi
perduti, senz'alberi, senz'alberi, né fertili piccole isole

Ma, cuor mio, ascolta il canto dei marinai!

mercoledì 26 giugno 2019

quel che brucia


COLPI di Mario Luzi

La potatura d’alberi rintocca
colpo su colpo di pennato. Il freddo
fa rilucere i tagli ancora vivi.

Tempo che l’uomo in là con gli anni dice:
sono com’ero in compagnia del fuoco
che avviva e rode la sostanza, veglio

su quel che brucia e quel ch’è fatto cenere,
tengo fede ai pensieri d’una volta.
Pure non è gran cosa, è men che poco.

Anni, ancora, che quanto viene offerto
sotto la specie del dolore
tarda a farsi vita vera.

Per anni e anni
la vita segue la vita
con la fedeltà che ha l’ombra

mentre scorre il fiume,
mentre il filo d’erba trema
tra pala e pala della falciatrice

e l’uomo appena uscito dalla prova
integro o privato del suo bene
solleva il capo fino al nuovo colpo.

martedì 18 giugno 2019

candido dedalo

A VUOTA CARNE 

torrida già sgorga dal vago chiaro 
l’ultima ora nel candido dedalo 
dove si ritorna solo a parole –:
per gli andati giorni di ombra logora 
che nuda a vuota carne si allungava
al vento caldo del brumoso mare
dell'indifferenza che ci consola

l’essere a muta tenebra di sole 
discende a sale di clessidra eguale.

G. Nigretti, da Derive in carne 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador

Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa,  un commiato di  due versi. Versi endecasillabi.
Il tessuto è denso di aggettivi: torrida, chiaro, candido, caldo, brumoso, muta, eguale, che rendono le emozioni, i pensieri, la soggettività del poeta, che riflette sulla condizione umana.  Gli aggettivi appartengono anche a sfere sensoriali diverse: torrida, caldo si avvertono con l‘epidermide; mentre chiaro, candido, con la vista; brumoso rende conto di un’atmosfera umida e liquida, che dal mare si alza e rende incerta e ingannevole la visione.

La tramatura delle parole è di quelle care al poeta: carne; parole; dedalo; mare, con tutto il peso che portano con sé,  segni distintivi del suo mondo poetico. Gli echi e i rimandi tra le parole percorrono il testo  fittamente, elaborando  un pensiero forte, trasformato in figure (per es., dedalo, clessidra…).
La carne sarà nuda e vuota nell’ultima ora di nostra vita, quando l’intrico labirintico nel quale siamo gettati apparirà ormai pervaso di candida luce; e quindi cadrà il velo sul nostro destino.  A questa luce si oppone l’ombra logora degli andati giorni. Un’altra opposizione è la muta tenebra di sole. L’immagine analogica della clessidra fa riferimento allo scorrere del tempo, nel quale  ha luogo l’umana vicenda  esistenziale. L’opposizione sole/sale associa il tema del sole (legato al mare) a quello simbolico del dolore.

Profilo retorico: Tra le figure del suono, molte le allitterazioni, che  rendono più incisivi gli stati d’animo e le impressioni del poeta.  Nel titolo,  in parte ossimorico (vuota carne) predomina il suono A che è la vocale aperta per eccellenza.
Primo verso: forte allitterazione del suono R che percorre tutto il verso, dando l’idea di qualcosa che scorre e pervade – essendo R un suono liquido e continuo –. Allitterazione anche del suono G – esplosivo e sonoro (sgorga e vago) che dà sonorità al verso e  ricostruisce foneticamente l’atto dello scaturire;  
Secondo verso: candido dedalo presenta quattro ripetizioni del suono D che è consonante dentale, esplosiva  sonora;
Terzo verso: uso del corsivo per mettere in rilievo il concetto dell’indicazione di un luogo (un dove, un altrove); dove si ritorna solo a parole corrisponde ad una perifrasi; 
Quarto verso: andati giorni: allitterazione di N, suono continuo, che dà l’idea di uno scorrere; ombra logora: allitterazione di R. anch’esso suono continuo, che qui dà l’idea di un logoramento che dura, pur parlando di ombra.  Allitterazione della vocale O. 
Quinto verso: nuda a vuota carne, tre parole corte (bisillabiche) che obbligano il lettore a considerarne la brevità, l’inconsistenza; pur accompagnandosi a carne, che è parola semanticamente piena.
Sesto verso: chiasmo in: vento caldo del brumoso mare. Il filo interno della poesia  si riallaccia a torrida con cui si apre la lirica;
Settimo verso: allitterazione di E, vocale centrale, che immaginativamente si lega al concetto di indifferenza=stato neutro; omogeneo strato di realtà – unico elemento, portatore di consolazione, che si offre all’uomo: l’indifferenza che ci consola.
Ultimi versimuta tenebra sinestesia; tenebra di sole: ossimoro. Sole in opposizione a sale (paronomasia) è l’immagine centrale.  Il sale è analogia che crea il contrasto di immagini e di sensazioni in quanto dà figurativamente l’idea della sofferenza. La clessidra suggerisce l’idea del tempo che scorre. Chiude il verso l’aggettivo eguale che rende tangibile la similitudine evocata. Anastrofe (figura dell’ordine) in: discende a sale di clessidra eguale.

Analisi tematica - La poesia inizia con il vago chiaro e il candido dedalo e termina con muta tenebra di sole. L’intera parabola esistenziale si apre e si chiude con queste suggestioni di colore. Gli aggettivi (legati alle sensazioni di vago e oscurità) sono usati in funzione tematica e dunque rappresentano il corso (il filo, lo stame) della vita, di cui l’uomo si trova (ahimè, inopinatamente) a disporre.

Ad aprire e chiudere la lirica, ci sono anche i verbi sgorga e discende, opposizione che genera un movimento. Impressione acustica la prima, visiva la seconda. L’immagine della clessidra pone il sigillo definitivo a questo faticoso scorrere. La vita umana è collocata nel tempo, vuoto e muto. In questo contesto le piccole storie umane sono sabbia che scorre – ignota, non individuata - che scivola dentro la clessidra. Mille storie senza colore che precipitano nell’imbuto del tempo. Chi le conosce?. Il poeta ne segue la lieve traccia, si riconosce nel destino comune, nell’essere che connota la nostra esistenza,  eguale allo scorrere di un granello di sabbia che, insieme  agli altri,  precipita nella clessidra. L’unica barriera consapevole che l’uomo può opporre al suo destino è appoggiarsi all’umana indifferenza (per Montale, la divina indifferenza).  
Tematicamente, le parole (con il peso esercitato dai suoni e dai significati che si intrecciano tra di loro con richiami semantici molto vividi) creano l’opposizione tra vita e morte . La morte è l’ultima ora; dove si ritorna solo a parole; quando ci sarà la vuota carne; in opposizione alla vita,  come ombra logora; che si allunga nel tempo (l’immagine della clessidra). Dunque,  una poesia di contrasti (nuda a vuota carne/ombra logora; sole/sale; l’indifferenza che ci consola), attraverso i quali il poeta non manca di interrogarsi sull’incomprensibilità  della vita, che ci conduce con la sua forza misteriosa verso il punto finale. 
Oscuramente forte è la vita (Quasimodo).  
Ornella Cazzador

lunedì 17 giugno 2019

l'indifferenza

L’INDIFFERENZA

della mano è cosa buona e sana
per le derive del raffermo andare –:
perché mai le importa se a onde ribatte
le irte scogliere di nostra sostanza
che a ogni istante non cessa di acclamare
su questa umana fossa senza carne
l’indifferenza che di mano sbatte

il naufragato essere del viandante
fra scorie sfatte di vane memorie.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador


Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa, un commiato di due versi. Versi endecasillabi.
Le parole tematiche emergenti nella poesia sono: mano; derive; fossa; carne, indifferenza; naufragato, scorie; memorie. Gli aggettivi, densi e pregnanti sono: raffermo; sfatte; vane. Queste parole ineriscono al gusto e al pensiero del poeta. Infatti tornano in altre poesie costituendo un coagulo di temi e connotando, in modo personalissimo, la sua voce poetica.
La poesia è alquanto enigmatica, e ciò lascia l’interpretazione indefinitamente aperta, come peraltro è tipico della poesia, il cui messaggio è sempre “aperto” e leggibile da più punti di vista.

Piano retorico: forte presenza di allitterazioni che vanno a rimarcare le evidenze che il poeta intende rilevare. Ne sono efficaci esemplificazioni, ad es., le espressioni:

per le derive del raffermo andare. Qui il poeta, attraverso la ripetizione ossessiva del suono R, dà il senso dell’errare lungo le derive sfatte dei nostri cammini; 
ribatte/le irte scogliere: l’allitterazione di R crea un paesaggio minaccioso e tempestoso, che evoca la vita umana; 
scorie sfatte: l’allitterazione di S. rende espressivamente l’idea del residuo, del marcio, del rifiuto abbandonato;
vane memorie; la presenza di N e M, entrambi suoni continui, con allitterazione di M, permette di sentire una continuità nelle impressioni legate all’emozione, al ricordo, al passato. 

I verbi ribatte/sbatte; l’espressione scorie sfatte, con quella doppia consonante interna, hanno una resa molto drammatica, espressa con la ripetizione della T (suono esplosivo e sordo) e la S sibilante. Ribatte e sbatte formano una rima; mentre sfatte è rimalmezzo. Tali verbi formano anche un enjambement con l’oggetto che segue nel verso successivo. 

I tre verbi ribatte, sbatte, sfatte attraversano diagonalmente il testo. La mano, invece, dà luogo a una lettura circolare, in quanto apre e chiude la lirica, conferendole centralità e aggrumando intorno ad essa il senso globale. 

Piano tematico e semantico: la tramatura è fitta di immagini: mano; derive; irte scogliere; umana fossa, vane memorie. Il centro di pensiero ruota intorno alla mano del poeta che registra, attraverso una scrittura poetica irta e puntuta (il pensiero va alla montaliana storta sillaba e secca come un ramo) la triste e opprimente condizione dell’uomo.

È cosa buona e sana per l’uomo raggiungere l’indifferenza di fronte alle forze che lo sovrastano, nella lotta a non soggiacere al peso di una condizione figurativamente rappresentata dalle irte scogliere. La mano che ribatte sul foglio di carta la sua opposizione alla realtà  della vita (umana fossa senza carne) non rimane inerte, al contrario, portatrice di una sua verità, non cessa di acclamare l’inganno del destino, e, dunque, (sempre alla luce della suggestione montaliana), la poesia deve esporsi e comunicare: a lettere di fuoco/lo dichiari (“Non chiederci la parola”). Cogliendo i rimandi intertestuali, la poesia si rende come corale definizione delle contraddizioni dell’esistere.

Le forze, oscure e minacciose, evocate sonoramente dai verbi e dal paesaggio - colto nella prospettiva verticale e in profondità: irte scogliere e fossa - si abbattono sull’uomo. E l’umana indifferenza issa il suo vessillo sul genere umano, sulla turba dei viventi (in altra poesia: morti), la cui sostanza è costitutivamente quella di esseri fragili, esposti ad ogni capriccio della natura, piegati a una vita condotta sul ciglio di una fossa, ridotti a essere senza carne - con la morte, meta irriducibile dell’esistenza. L’uomo appare figurativamente come viandante (collegato al raffermo andare); oppure il naufragato essere, collegato all’idea del mare: onde e scogliere. Significativa l’ultima immagine delle scorie sfatte, che suggella la poesia, e simboleggia l’umano destino di morte, di riduzione al nulla.

Nostra sostanza si vuol riferire non solo all’esperienza personale del poeta, ma alla volontà di riconoscersi in un dramma universale (nostra sorte, presente anche in altre poesie). Per questo, il poeta continua a interrogarsi sul suo destino e riconosce l’indifferenza (l’atarassia) come meta cui tendere. Ciò gli permette di guardare senza orrore la deriva, il naufragio verso cui va l’esistenza, e nello stesso tempo, di comunicarla, sia pure sul foglio di carta, realtà finita e inconsistente a sua volta, a tutti i suoi simili. A questo proposito, anche Pasolini afferma che la vita è restare dentro all’inferno, con la marmorea volontà di capirlo. Molto vicini gli echi da Eliot, in Gli uomini vuoti:

Siamo gli uomini vuoti
Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillio di una stella che si sta spegnendo

L’idea che una forza superiore pianti il proprio vessillo sul genere umano e dunque marchi la propria vittoria è molto presente anche nella poesia inglese: poesie di John Donne, e Shakespeare (Sonetti). In quest’ultimo, non è l’indifferenza, ma la morte a vincere. In John Donne, è la vita a vincere sulla morte. 
In-differenza si può leggere (tra i molti significati) anche come mancata differenza/non differenza: per tutti il destino è uguale: la fossa, colma di scorie; di memorie vane
Ornella Cazzador

martedì 11 giugno 2019

per Ornella


LE CAVIE di V. Magrelli

O forse sono cavie,
queste poesie che scrivo,
per qualche esperimento concepite,
che tuttavia non so.

Non so perché si formano,
eppure mi affeziono e le chiamo per nome,
topolini vivissimi, allarmati
da che?

giovedì 6 giugno 2019

dissolto

da ORA SERRATA RETINAE di Valerio Magrelli

Stasera mi sono visto nello specchio,
con una canottiera bianca
e la barba lunga delle malattie.
Ma avevo ancora attraversato il dolore,
e la carne era fresca
e tutto il dubbio dissolto.
Avevo doppiato una stagione di sconforti.
Appena girato lo scafo,
coperti dal promontorio grigio,
il vento cade di colpo
e l’impeto si quieta
e stupisce del suo esaurirsi.
Così il marinaio è salvo.

sabato 25 maggio 2019

bianco dolente

DAL BIANCO

a nera urna urla di carne la voce
dell’orfea mano che muta dorme
cantando ardori dal bianco dolente
torna dove a morso di albe rimuore
al vacuo mondo che sguardo non vuole –:
l’ombra velata che per l’ade vano
fa la paruta dal vergine fiore

a primavere eterne d’orrore
solo la parola vive d’amore.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019

giovedì 2 maggio 2019

molle stella


C’ERA UNA VOLTA

Questa carta nuda è la pelle tua
o Dolle! musa già di carne muta – 
che da gemme la mano rigenera
eguale a molle stella la immagina
quando il sole si assonna sulla sera 
e il mare canta su scogliere chiare
fra onde ricolme di miele a fontane:

c’era una volta una voce di opale
che lì si disciolse in carne di sale.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019

venerdì 26 aprile 2019

la nostra distanza


I LEONI SUL SAGRATO di Mariagloria Sears

C'è un luogo dove dormi
e il tuo respiro
io non lo sento, non lo sento mai.

Fra i nostri due riposi
è la città spavalda
strade, fragori, alterchi, gente e tetti
e come due leoni sul sagrato
remoti e fermi, chiusi in una forma,
noi vigiliamo la nostra distanza.

lunedì 15 aprile 2019

caro fratello

CARO FRATELLO di Antonio Fiorito
in risposta alle poesie di Tesfalidet Tesfom “Non ti allarmare fratello mio” e “Tempo sei maestro”

Caro fratello,
mio caro fratello,
fratello ti chiamo
perché fratello tuo io mi sento.
Anche se tu più non sei
io ti scrivo
e ti parlo
perché Dio
nel quale tu credi
nel quale hai creduto
insegna che altrove
in forma immortale
ancora tu esisti
e mi puoi ascoltare.

Ti comprendo, fratello
e il mio cuore si strazia
a ogni barca partita
dall’Africa in fiamme
in balia sulle onde
del dolce mio mare
in cui uomini ciechi
al potere
han versato veleno
letale…
…amaro mio mare!

Ti comprendo, fratello
e ti prego di credere
che tu solo non sei
noi, da tempo,
siam scesi in battaglia
siamo in molti a cercare
la vittoria sul male.

Io ti ammiro!
Noi tutti ammiriamo
come tu
hai avuto coraggio
fino all’ultimo raggio
di sole
senza mai serbare
rancore, anzi
hai scritto soltanto
d’ amore quando
il tuo fratello ti ignora
e hai donato
col tuo ultimo battito d’ali
poesie
di poesia infinita
alla riva italiana
del Mediterraneo.

Anche noi
ti assicuro, da tempo,
siamo scesi in battaglia
per avere vittoria sul male.
Lasceremo alla nostra progenie
il retaggio
del nostro ideale
di giustizia, di pace
di fraterna accoglienza.

Chiunque tu sia,
ovunque tu sia,
ciao, fratello mio caro:
vittoria agli oppressi!
La vittoria avrà il suo tempo!



lunedì 8 aprile 2019

fratello mio

Poesia di Tesfalidet Tesfom, migrante eritreo morto il giorno dopo il suo sbarco a Pozzallo del 12 marzo 2018. Dopo aver lottato tra la vita e la morte all’ospedale maggiore di Modica nel suo portafogli è stato ritrovato un foglio con un testo in tigrino ancora intriso di salsedine. Tesfalidet Tesfom è morto in Italia a causa della Libia.


Ho letto questa poesia, ed altre mie, alla XVII Giornata Mondiale della Poesia, Sala del Romanino, Musei Civici agli Eremitani, Padova


NON TI ALLARMARE FRATELLO MIO

Non ti allarmare fratello mio,
dimmi, non sono forse tuo fratello?
Perché non chiedi notizie di me?
È davvero così bello vivere da soli,
se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno?

Cerco vostre notizie e mi sento soffocare
non riesco a fare neanche chiamate perse,
chiedo aiuto,
la vita con i suoi problemi provvisori
mi pesa troppo.

Ti prego fratello, prova a comprendermi,
chiedo a te perché sei mio fratello,
ti prego aiutami,
perché non chiedi notizie di me, non sono forse tuo fratello?

Nessuno mi aiuta,
e neanche mi consola,
si può essere provati dalla difficoltà,
ma dimenticarsi del proprio fratello non fa onore,
il tempo vola con i suoi rimpianti,
io non ti odio,
ma è sempre meglio avere un fratello.

No, non dirmi che hai scelto la solitudine,
se esisti e perché ci sei con le tue false promesse,
mentre io ti cerco sempre,
saresti stato così crudele se fossimo stati figli dello stesso sangue?

Ora non ho nulla,
perché in questa vita nulla ho trovato,
se porto pazienza non significa che sono sazio
perché chiunque avrà la sua ricompensa,
io e te fratello ne usciremo vittoriosi
affidandoci a Dio.


LE RONDINI 

quando nere – sull’aspro inverno 
di vento maestro lontano – e
dall’innato volare in alto
le belle migranti colmano
con le grazie di stormi tersi
il riguardare di noi umani:
senza ali e da terre galere e

su onde avverse e su ferri a spini persi
stanno gli umani che mai rimiriamo.

G. Nigretti da Derive di carta, 2015


DI SOLE E POESIE

Qui che reale muro non abbiamo
con occhi colmi di sole miriamo
dalle salse ringhiere del blu mare
ombre di mille naufraghi passare e
di schiena già neri ci rigiriamo:
come ai morti di nostre macerie
lontane e fra gemiti di sangue

colano le notti di chi lì langue
qui di chi smena le poesie vane –.

G. Nigretti da Derive di scorie, 2016









mercoledì 3 aprile 2019

dialogo silente 2

DI SCORIE COLMA

sfugge via dall’ora albina
la sera – come una corva 
altera – che ora s’innalza e
repente in albore sfarina
all’ombra distante le porte:
che di scorie colma ritorna
d’alcove onde di levante

dove un sole arcano risale
da memorie di mirto inane.

G. Nigretti da Derive di scorie 2016


AMAREFERITA di Marta Celio

e dall’alto del meriggiare scende
– profondo a-mare – e lieve sussurra 
all’ore* che chiede “mirto inane”. Riempire 
memorie orecchie sopraffine. Indugia
sosta-sposta onde  e primizie in carta-paglia
lontano da “sole arcano”
e vicino-stretto amaro amare mare

e ancora una volta sboccia vita
là dove esule-isola amara-amareferita

*ore: orecchio