INTERMEZZO
Non trovo nel sottoscala la banderuola
l’orizzonte degli orizzonti di questo blu
incassato tra le adulte case di periferia
che accenda d’inesausti arazzi le stanze della musica.
Senza copione si dispera il lotofago tempo.
Nel teatro della memoria mi aggrappo a chi sento vivo
tra una folla sterminata di morti.
Se non potrò ritornare per la strada buia
a riveder le stelle, le radici storiche degli incantamenti
lasciate almeno che il grano s’accumuli sull’aia.
Il tino non era sfondato: potrò vendemmiare
questo tempo distratto. Il tramonto era tutto d’oro
tre volte glorioso e santo e i vecchi soffiavano
sulle ceneri delle generazioni.
Eccomi pronto in abito scuro per nozze e tribunali.
L’inverno ormai ringhia alle porte: ci preceda
la città dei morti con le sue coraggiose insegne.
Non è troppo tardi per le fiaccole sopra il moggio
sebbene ai figli e alle chiassose serate tra amici
abbiamo preferito il silenzioso bisbigliare degli angeli.
Anche di noi, foglie secche, rimarrà un eco poco credibile
che il vento disperde sotto i frettolosi passi.
Fatemi entrare nell’Arca per cui le api sciamano.
E’ tempo che la cenere si tramuti in cipria.
E’ tempo che l’amorosa astuzia s’intrecci
con la spiga d’oro.
Lasciate pure che il folle scirocco agiti
le lunghe tende del melanconico salotto:
la tua capretta ha fame e sete del mio sale e zolfo.
(da: Renzo Lucchiari, Farfalle, Ed. Il Torchio, Padova 2010, pp. 18-19)