Visualizzazione post con etichetta Leuca. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Leuca. Mostra tutti i post

mercoledì 28 agosto 2019

la bellezza


COME UN’ONDA SUL GRANO 

c’era una volta a marea 
e ora fra onde non appare – e
quella che ci brezza non è
nell’onda la bellezza – è
la noia: come un’onda che
sbalza e la mano ricade
dalla già densa scogliera

di carta – dove a fatica risale
per onde parole da seminare.

G. Nigretti da Derive della mano, 2019



La poesia è molto ermetica. Ma è "una foresta di simboli" per dirla con Baudelaire (che però si riferisce alla natura).
È intessuta di fili che convergono, si riprendono, e divergono, a rappresentare uno squarcio sulle concezioni del poeta, ed anche uno stato d'animo - attuale -. Forse è contingente, legato a un momento nero, ma forse è il suo mood costitutivo.

Queste intense rappresentazioni hanno a che fare con la poesia e con la vita e per questo assurgono a riflessione sulla condizione dell'umana esistenza, stretta tra il desiderio di vita e ciò che le si oppone, in termine di mancanza, penuria, negazione.

Le simbologie emergenti fanno capo a due mondi paralleli, riferentesi al mare e alla terra. Del mare si dice: a marea, onde, per onde, dunque è presente la Natura, la forza, la bellezza della Natura (nell'onda la bellezza) indipendentemente dalla volontà dell'uomo.
Della terra e dell'uomo invece si riferiscono due momenti legati al lavoro umano: brezzare, seminare. La forma: ci brezza si pone a metà fra le due realtà evocate, con esiti di ambiguità che gettano un ponte di senso tra le cose che il poeta vuol dire. 

È la noia il punto focale. Il poeta è preda della noia, che opprime il cuore, offusca la mente, fiacca e tarpa le ali. Per suo effetto, la mano ricade, a fatica risale, nel gesto di riempire la pagina bianca, seminando parole. 
Questo è il gesto poetico, la metafora della poesia, come semina. Dunque un poeta ara e semina il suo terreno, vaglia il grano, separa il grano dalla pula... fa un lavoro meticoloso di perfezione. Lavora le parole. E si affatica sul verso per trovarne le giuste sonorità, per intrecciare suoni e sensi, per catturare quei significati che gli urgono dentro, esprimere il non detto con una comparazione, una analogia, o una figura retorica. 

Ma se si affaccia un momento di sofferenza, di tedio, è difficile vivere e poetare. La già densa scogliera di carta diventa più dura, impossibile. Che sia di carta, da una parte allude al supporto materico della scrittura, dall'altra alla sua precarietà ed evanescenza. Che poi la scrittura sia spesso resa difficoltosa e il foglio resta bianco e vi si riflette solo la bianca luce della lampada, lo dice anche Mallarmé in Brise marine: Ne' il chiaror solitario della mia lampada / sul foglio vuoto che il candor difende...

La noia è qui evocata con una similitudine: come un'onda che sbalza... Essa ha la potenza dell'onda di Hokusai, che mette in luce la forza primigenia della natura e la sua minacciosa bellezza, di fronte alla fragilità dell'essere umano, sbattuto tra gli scogli e le tempeste. Stremato e inerme, come può opporsi a questo destino? 
Baudelaire (in cui angoscia e noia trovano un interprete moderno) dà una sua visione nella bellissima  Elevazione (Spleen et ideal. Les fleurs du Mal):

........... 
Dietro di sé le noie, i vasti orrori
Gravanti sulla brumosa vita, felice
Chi con robuste ali saprà
Slanciarsi verso campi di luce e sereni
E ogni mattina, come le allodole, s'alza
Nei pensieri con libertà nel cielo
E si libra ben alto sulla vita e non fa
Fatica a intendere i fiori e le altre cose mute.
(Traduzione di G. Raboni)
Ornella Cazzador

giovedì 8 agosto 2019

ignude sirene

SUL DENSO MARE 

nuota spesso il pensiero e non è male
che di sguardi non abbia più approdi o
larghi imbarchi per l’amare a derive
di quel bel giuocare a fare il cantore
con le ignude sirene sul muto cuore
che ora lo destano a sepolte memorie
per la mano ferma sotto l’astro spento

sulle sponde a ponente di nostra attesa:
che a lemmi di sale non ritorni a quelle.

G. Nigretti, da Derive della mano, 2019




Carissimo, di primo acchito le tue poesie non sono facili, ma poi bisogna farsi prendere per mano dal testo e cercare sentieri conoscitivo/interpretativi. Qui il paesaggio è il denso mare, mare oscuro, pieno di insidie. Ma anche di malie e di miraggi (le sirene) che tanta parte hanno nella vita.

Ci sono due fuochi: uno esterno, il mare (con una serie di parole ben conteste/connesse) e l'altro interno (pensiero, sguardo, muto cuore, destano, amare, mano ferma...).
La linea tematica comprende nel suo tracciato: pensiero, sepolte memorie, attesa, lemmi di sale. Qui dentro è compresa tutta una vita. 

Il poeta - ironico con sé stesso - ha spesso giocato con le parole, ben conscio del loro potere incantatorio e straniante, come il mitico canto delle sirene (ancora una volta, il mito getta un cono di luce sull'interpretazione della vicenda umana). Ora ancora lo destano, "ignude", sensuali forme oniriche dal canto mielato ma ominoso.
Ma il cuore è muto, le memorie sommerse nel profondo, la mano è ferma (inceppata?), l'astro è spento. Ora Egli si trova sulle sponde a ponente, sulle rive d'occaso, alla fine del giorno, quando la vita non è più una promessa, ma l'attesa della fine. Egli non vuole più riappropriarsi di tutti quei momenti perduti nel tempo, che hanno l'amaro sapore del sale.

Nelle sirene è rappresentato il canto che ammalia e che uccide (hanno disseminato di cadaveri l'isola, Omero. Libro XII). La loro voce melodiosa e sfidante promette la conoscenza (ma Egli va dopo averne goduto, sapendo più cose, Omero, XII). Per questo Ulisse chiese nodi più stretti e doppi, per non cadere nel loro inganno e continuare il viaggio.

Le ho viste al largo cavalcare l'onde
Pettinare la candida chioma dell'onde risospinte
.............. 
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune. 
Finché le voci ci svegliano e anneghiamo 

Eliot: Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock

p.s.: cosa promettono le sirene? Di svelare al viandante ciò che accade ed è accaduto sulla terra, per renderlo finalmente  sapiente.

Omero. Libro XII

Nessuno è mai passato di qui 
Con la nera nave
Senza ascoltare con la nostra bocca
Il suono di miele
Ma egli va dopo averne goduto
E sapendo più cose

La conseguenza? 

... intorno è un
Mucchio di ossa
Di uomini putridi
Con la pelle che raggrinza

Ornella Cazzador


mercoledì 31 luglio 2019

erranti memorie


DI NOTTE A LÈVICHE 

Qui che le case non hanno le porte
solo la notte apre gli occhi alle volte:
che portano per le erranti memorie 
nei cieli del sognare con le mani
al pelago aperte che ci guardava
l’andare a volare con i gabbiani
sulle reti emerse dal fondo mare

ricolme di miele dell’antico cielo e
di parole che la dolce carta chiama.

G. Nigretti da Derive della mano, 2019

Lèviche”: Santa Maria di Leuca in dialetto salentino


Lèviche è il luogo in cui le case non hanno le porte; solo la notte apre gli occhi alle volte… Il tempo è il presente del poeta.

Il tema: la notte reca memorie erranti e sogno/desiderio si fanno tutt’uno nell’animo del poeta, come pelago e cielo si immedesimano e si mescolano nella loro vastità.
(La L che ricorre in entrambe le voci lessicali, essendo un suono continuo, amplifica la loro estensione).
Il desiderio del librarsi in volo è evocato dai gabbiani nel cielo; mentre le mani sono aperte sull’oscurità del pelago, la cui profondità è connessa all’idea delle reti emerse dal fondo mare. In questo mare, il poeta pesca i ricordi sommersi, un momento realmente accaduto.

Al poeta giungono nel sogno le memorie, analogicamente riferite alla dolcezza del miele, colato sotto un cielo antico; lontano favoloso; e la nostalgia, il desiderio, il sogno chiedono di avere voce nel linguaggio poetico.

e ti scrivo da qui, da questo tavolo
remoto, dalla cellula di miele
di una sfera lanciata nello spazio…

(Montale, Notizie dall’Amiata)

Solo la poesia - attraversando il mondo delle cose per approdare a quello simbolico del verso - può dare alle cose passate una voce, ancorché di-versa, (perché le cose passate hanno una voce diversa), ma capace di eternare l’attimo fuggito e perpetuare pezzi pur perduti di vita trascorsa.

La poesia è quindi avventura dell’anima tradotta in parola, congiunzione ineffabile di suono e di senso, che può traghettare nella dolce carta le cose del passato. 

Quest’ultimo appare trascolorato e impalpabile (Un murmure; e la tua casa s’appanna / come nella bruma del ricordo - Montale, Sotto la pioggia) a confronto col presente doloroso, ma vero. Così si rende esprimibile/rappresentabile il dramma dell’uomo, gettato in un mondo di contrari: speranza e disperazione, oblio e ricordo; straniato di fronte alle derive imponderabili della vita.

Con lieve cuore, con lieve mano / la vita prendere, la vita lasciare. (Cristina Campo)

Ornella Cazzador

giovedì 18 luglio 2019

fuggir laggiù


BREZZA MARINA di  Stéphane Mallarmé

La carne è triste, ahimè! E ho letto tutti i libri.
Fuggire! Fuggir laggiù! Sento uccelli che son ebbri
di vivere tra la schiuma sconosciuta e i cieli!
Niente - neanche gli antichi giardini riflessi dagli occhi -
tratterrà questo cuore che nel mare s'immerge.
O notti! Né il chiaror solitario della mia lampada
sul foglio vuoto che il candor difende
e nemmeno la giovane donna che allatta il suo bambino.
Partirò! Nave che dondoli i tuoi alberi,
leva l'ancora per un luogo esotico!
Una Noia, delusa da speranze crudeli,
crede ancora al supremo addio dei fazzoletti!
E, forse, gli alberi, che invitano le tempeste,
son di quelli che un vento inclina sui naufragi
perduti, senz'alberi, senz'alberi, né fertili piccole isole

Ma, cuor mio, ascolta il canto dei marinai!