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venerdì 14 febbraio 2020

quello che ci resta


DELL’ANDATO GRAN BAZAR

c’è sempre una perfetta confusione
nella mente di ogni evacuato umano – 
che il caos del creato pare eguale 
al mercato di Prato della Valle:
con i fiori già recisi sui banconi
come carne andata di nude parute 
con parole cadute sopra i tavoli

del poeta antiquario: “venghino bei siori
vendo quello che ci resta del gran marcito

G. Nigretti da Amare Derive di carne su carte, 2019

 “Prato della Valle”: grande piazza di Padova

martedì 18 giugno 2019

candido dedalo

A VUOTA CARNE 

torrida già sgorga dal vago chiaro 
l’ultima ora nel candido dedalo 
dove si ritorna solo a parole –:
per gli andati giorni di ombra logora 
che nuda a vuota carne si allungava
al vento caldo del brumoso mare
dell'indifferenza che ci consola

l’essere a muta tenebra di sole 
discende a sale di clessidra eguale.

G. Nigretti, da Derive in carne 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador

Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa,  un commiato di  due versi. Versi endecasillabi.
Il tessuto è denso di aggettivi: torrida, chiaro, candido, caldo, brumoso, muta, eguale, che rendono le emozioni, i pensieri, la soggettività del poeta, che riflette sulla condizione umana.  Gli aggettivi appartengono anche a sfere sensoriali diverse: torrida, caldo si avvertono con l‘epidermide; mentre chiaro, candido, con la vista; brumoso rende conto di un’atmosfera umida e liquida, che dal mare si alza e rende incerta e ingannevole la visione.

La tramatura delle parole è di quelle care al poeta: carne; parole; dedalo; mare, con tutto il peso che portano con sé,  segni distintivi del suo mondo poetico. Gli echi e i rimandi tra le parole percorrono il testo  fittamente, elaborando  un pensiero forte, trasformato in figure (per es., dedalo, clessidra…).
La carne sarà nuda e vuota nell’ultima ora di nostra vita, quando l’intrico labirintico nel quale siamo gettati apparirà ormai pervaso di candida luce; e quindi cadrà il velo sul nostro destino.  A questa luce si oppone l’ombra logora degli andati giorni. Un’altra opposizione è la muta tenebra di sole. L’immagine analogica della clessidra fa riferimento allo scorrere del tempo, nel quale  ha luogo l’umana vicenda  esistenziale. L’opposizione sole/sale associa il tema del sole (legato al mare) a quello simbolico del dolore.

Profilo retorico: Tra le figure del suono, molte le allitterazioni, che  rendono più incisivi gli stati d’animo e le impressioni del poeta.  Nel titolo,  in parte ossimorico (vuota carne) predomina il suono A che è la vocale aperta per eccellenza.
Primo verso: forte allitterazione del suono R che percorre tutto il verso, dando l’idea di qualcosa che scorre e pervade – essendo R un suono liquido e continuo –. Allitterazione anche del suono G – esplosivo e sonoro (sgorga e vago) che dà sonorità al verso e  ricostruisce foneticamente l’atto dello scaturire;  
Secondo verso: candido dedalo presenta quattro ripetizioni del suono D che è consonante dentale, esplosiva  sonora;
Terzo verso: uso del corsivo per mettere in rilievo il concetto dell’indicazione di un luogo (un dove, un altrove); dove si ritorna solo a parole corrisponde ad una perifrasi; 
Quarto verso: andati giorni: allitterazione di N, suono continuo, che dà l’idea di uno scorrere; ombra logora: allitterazione di R. anch’esso suono continuo, che qui dà l’idea di un logoramento che dura, pur parlando di ombra.  Allitterazione della vocale O. 
Quinto verso: nuda a vuota carne, tre parole corte (bisillabiche) che obbligano il lettore a considerarne la brevità, l’inconsistenza; pur accompagnandosi a carne, che è parola semanticamente piena.
Sesto verso: chiasmo in: vento caldo del brumoso mare. Il filo interno della poesia  si riallaccia a torrida con cui si apre la lirica;
Settimo verso: allitterazione di E, vocale centrale, che immaginativamente si lega al concetto di indifferenza=stato neutro; omogeneo strato di realtà – unico elemento, portatore di consolazione, che si offre all’uomo: l’indifferenza che ci consola.
Ultimi versimuta tenebra sinestesia; tenebra di sole: ossimoro. Sole in opposizione a sale (paronomasia) è l’immagine centrale.  Il sale è analogia che crea il contrasto di immagini e di sensazioni in quanto dà figurativamente l’idea della sofferenza. La clessidra suggerisce l’idea del tempo che scorre. Chiude il verso l’aggettivo eguale che rende tangibile la similitudine evocata. Anastrofe (figura dell’ordine) in: discende a sale di clessidra eguale.

Analisi tematica - La poesia inizia con il vago chiaro e il candido dedalo e termina con muta tenebra di sole. L’intera parabola esistenziale si apre e si chiude con queste suggestioni di colore. Gli aggettivi (legati alle sensazioni di vago e oscurità) sono usati in funzione tematica e dunque rappresentano il corso (il filo, lo stame) della vita, di cui l’uomo si trova (ahimè, inopinatamente) a disporre.

Ad aprire e chiudere la lirica, ci sono anche i verbi sgorga e discende, opposizione che genera un movimento. Impressione acustica la prima, visiva la seconda. L’immagine della clessidra pone il sigillo definitivo a questo faticoso scorrere. La vita umana è collocata nel tempo, vuoto e muto. In questo contesto le piccole storie umane sono sabbia che scorre – ignota, non individuata - che scivola dentro la clessidra. Mille storie senza colore che precipitano nell’imbuto del tempo. Chi le conosce?. Il poeta ne segue la lieve traccia, si riconosce nel destino comune, nell’essere che connota la nostra esistenza,  eguale allo scorrere di un granello di sabbia che, insieme  agli altri,  precipita nella clessidra. L’unica barriera consapevole che l’uomo può opporre al suo destino è appoggiarsi all’umana indifferenza (per Montale, la divina indifferenza).  
Tematicamente, le parole (con il peso esercitato dai suoni e dai significati che si intrecciano tra di loro con richiami semantici molto vividi) creano l’opposizione tra vita e morte . La morte è l’ultima ora; dove si ritorna solo a parole; quando ci sarà la vuota carne; in opposizione alla vita,  come ombra logora; che si allunga nel tempo (l’immagine della clessidra). Dunque,  una poesia di contrasti (nuda a vuota carne/ombra logora; sole/sale; l’indifferenza che ci consola), attraverso i quali il poeta non manca di interrogarsi sull’incomprensibilità  della vita, che ci conduce con la sua forza misteriosa verso il punto finale. 
Oscuramente forte è la vita (Quasimodo).  
Ornella Cazzador

lunedì 17 giugno 2019

l'indifferenza

L’INDIFFERENZA

della mano è cosa buona e sana
per le derive del raffermo andare –:
perché mai le importa se a onde ribatte
le irte scogliere di nostra sostanza
che a ogni istante non cessa di acclamare
su questa umana fossa senza carne
l’indifferenza che di mano sbatte

il naufragato essere del viandante
fra scorie sfatte di vane memorie.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador


Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa, un commiato di due versi. Versi endecasillabi.
Le parole tematiche emergenti nella poesia sono: mano; derive; fossa; carne, indifferenza; naufragato, scorie; memorie. Gli aggettivi, densi e pregnanti sono: raffermo; sfatte; vane. Queste parole ineriscono al gusto e al pensiero del poeta. Infatti tornano in altre poesie costituendo un coagulo di temi e connotando, in modo personalissimo, la sua voce poetica.
La poesia è alquanto enigmatica, e ciò lascia l’interpretazione indefinitamente aperta, come peraltro è tipico della poesia, il cui messaggio è sempre “aperto” e leggibile da più punti di vista.

Piano retorico: forte presenza di allitterazioni che vanno a rimarcare le evidenze che il poeta intende rilevare. Ne sono efficaci esemplificazioni, ad es., le espressioni:

per le derive del raffermo andare. Qui il poeta, attraverso la ripetizione ossessiva del suono R, dà il senso dell’errare lungo le derive sfatte dei nostri cammini; 
ribatte/le irte scogliere: l’allitterazione di R crea un paesaggio minaccioso e tempestoso, che evoca la vita umana; 
scorie sfatte: l’allitterazione di S. rende espressivamente l’idea del residuo, del marcio, del rifiuto abbandonato;
vane memorie; la presenza di N e M, entrambi suoni continui, con allitterazione di M, permette di sentire una continuità nelle impressioni legate all’emozione, al ricordo, al passato. 

I verbi ribatte/sbatte; l’espressione scorie sfatte, con quella doppia consonante interna, hanno una resa molto drammatica, espressa con la ripetizione della T (suono esplosivo e sordo) e la S sibilante. Ribatte e sbatte formano una rima; mentre sfatte è rimalmezzo. Tali verbi formano anche un enjambement con l’oggetto che segue nel verso successivo. 

I tre verbi ribatte, sbatte, sfatte attraversano diagonalmente il testo. La mano, invece, dà luogo a una lettura circolare, in quanto apre e chiude la lirica, conferendole centralità e aggrumando intorno ad essa il senso globale. 

Piano tematico e semantico: la tramatura è fitta di immagini: mano; derive; irte scogliere; umana fossa, vane memorie. Il centro di pensiero ruota intorno alla mano del poeta che registra, attraverso una scrittura poetica irta e puntuta (il pensiero va alla montaliana storta sillaba e secca come un ramo) la triste e opprimente condizione dell’uomo.

È cosa buona e sana per l’uomo raggiungere l’indifferenza di fronte alle forze che lo sovrastano, nella lotta a non soggiacere al peso di una condizione figurativamente rappresentata dalle irte scogliere. La mano che ribatte sul foglio di carta la sua opposizione alla realtà  della vita (umana fossa senza carne) non rimane inerte, al contrario, portatrice di una sua verità, non cessa di acclamare l’inganno del destino, e, dunque, (sempre alla luce della suggestione montaliana), la poesia deve esporsi e comunicare: a lettere di fuoco/lo dichiari (“Non chiederci la parola”). Cogliendo i rimandi intertestuali, la poesia si rende come corale definizione delle contraddizioni dell’esistere.

Le forze, oscure e minacciose, evocate sonoramente dai verbi e dal paesaggio - colto nella prospettiva verticale e in profondità: irte scogliere e fossa - si abbattono sull’uomo. E l’umana indifferenza issa il suo vessillo sul genere umano, sulla turba dei viventi (in altra poesia: morti), la cui sostanza è costitutivamente quella di esseri fragili, esposti ad ogni capriccio della natura, piegati a una vita condotta sul ciglio di una fossa, ridotti a essere senza carne - con la morte, meta irriducibile dell’esistenza. L’uomo appare figurativamente come viandante (collegato al raffermo andare); oppure il naufragato essere, collegato all’idea del mare: onde e scogliere. Significativa l’ultima immagine delle scorie sfatte, che suggella la poesia, e simboleggia l’umano destino di morte, di riduzione al nulla.

Nostra sostanza si vuol riferire non solo all’esperienza personale del poeta, ma alla volontà di riconoscersi in un dramma universale (nostra sorte, presente anche in altre poesie). Per questo, il poeta continua a interrogarsi sul suo destino e riconosce l’indifferenza (l’atarassia) come meta cui tendere. Ciò gli permette di guardare senza orrore la deriva, il naufragio verso cui va l’esistenza, e nello stesso tempo, di comunicarla, sia pure sul foglio di carta, realtà finita e inconsistente a sua volta, a tutti i suoi simili. A questo proposito, anche Pasolini afferma che la vita è restare dentro all’inferno, con la marmorea volontà di capirlo. Molto vicini gli echi da Eliot, in Gli uomini vuoti:

Siamo gli uomini vuoti
Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillio di una stella che si sta spegnendo

L’idea che una forza superiore pianti il proprio vessillo sul genere umano e dunque marchi la propria vittoria è molto presente anche nella poesia inglese: poesie di John Donne, e Shakespeare (Sonetti). In quest’ultimo, non è l’indifferenza, ma la morte a vincere. In John Donne, è la vita a vincere sulla morte. 
In-differenza si può leggere (tra i molti significati) anche come mancata differenza/non differenza: per tutti il destino è uguale: la fossa, colma di scorie; di memorie vane
Ornella Cazzador

sabato 25 maggio 2019

bianco dolente

DAL BIANCO

a nera urna urla di carne la voce
dell’orfea mano che muta dorme
cantando ardori dal bianco dolente
torna dove a morso di albe rimuore
al vacuo mondo che sguardo non vuole –:
l’ombra velata che per l’ade vano
fa la paruta dal vergine fiore

a primavere eterne d’orrore
solo la parola vive d’amore.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019

giovedì 2 maggio 2019

molle stella


C’ERA UNA VOLTA

Questa carta nuda è la pelle tua
o Dolle! musa già di carne muta – 
che da gemme la mano rigenera
eguale a molle stella la immagina
quando il sole si assonna sulla sera 
e il mare canta su scogliere chiare
fra onde ricolme di miele a fontane:

c’era una volta una voce di opale
che lì si disciolse in carne di sale.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019