Sono miei figli, i Versi, del mio sangue.
Parlano, ma do loro le parole
come fossero pezzi del mio cuore
o lacrime sgorgate dai miei occhi.
Con un sorriso amaro vanno in giro,
perché insisto a dipingere la vita.
Li rivesto di sole e giorno e sole,
che cingeranno quando annotterò.
Signoreggiano in cielo e sulla terra.
Ma si chiedono cosa ancora manchi
per vincere stanchezza e noia, figli
che per madre conobbero la Pena.
Invano spargo il riso del motivo
più tenero, o del flauto la passione:
sono per loro un re inesperto, che
ha perduto l’affetto del suo popolo.
E languono, si spengono, e giammai
non smettono di piangere pian piano.
Mentre passi, o Mortale, guarda altrove:
o Lete, qua la nave tua, che sàlpino.