GIORNI DI PAROLE a pezzi di passato giacciono nel biancastro pelago liquido cercavano (un lemma di vita?) in un fremito d’ali straniero l’ultima voce di rosa sbiadita è già secca come questa carta bianca d’ossa nel sole pesante di grassa maceria e vuote ore la memoria su ci smena parole di questo lèmure tempo che a voragine ci aliena l’anima? – un venticello di parole morte. G. Nigretti da Derive straniere 2011
Con questa coinvolgente iniziativa Alessandro Cabianca ci ha proposto di portare con noi un poeta guida, un poeta di riferimento…
Personalmente non è stata una facile scelta, almeno da un punto di vista cosciente, perché nella mia deriva poetica, più che ad un poeta guida, sento la vicinanza a diversi poeti italiani, in particolare:
Il Montale di Ossi di seppia – per la poetica del male di vivere
Il Quasimodo di Ed è subito sera – per la poetica della solitudine dell’uomo
O il Giudici di La vita in versi – per la poesia come necessità esistenziale
Ho qui con me la poesia di Quasimodo "Vento a Tindari". Poesia che racchiude in sé l’inquietudine, il dramma e le contraddizioni dell'uomo moderno.
La mia vicinanza al Quasimodo di Vento a Tindari è connessa anche, e non solo, al tema dello sradicamento dell'uomo, per la sua, e mia, personale condizione di esule volontario dal sud al nord Italia.
VENTO A TINDARI Tindari, mite ti so Fra larghi colli pensile sull’acque Delle isole dolci del dio, oggi m’assali e ti chini in cuore. Salgo vertici aerei precipizi, assorto al vento dei pini, e la brigata che lieve m’accompagna s’allontana nell’aria, onda di suoni e amore, e tu mi prendi da cui male mi trassi e paure d’ombre e di silenzi, rifugi di dolcezze un tempo assidue e morte d’anima A te ignota è la terra Ove ogni giorno affondo E segrete sillabe nutro: altra luce ti sfoglia sopra i vetri nella veste notturna, e gioia non mia riposa sul tuo grembo. Aspro è l’esilio, e la ricerca che chiudevo in te d’armonia oggi si muta in ansia precoce di morire; e ogni amore è schermo alla tristezza, tacito passo al buio dove mi hai posto amaro pane a rompere. Tindari serena torna; soave amico mi desta che mi sporga nel cielo da una rupe e io fingo timore a chi non sa che vento profondo m’ha cercato.
Con la poesia dell’uomo esule, dell’uomo fuori suolo, "Vento a Tindari", ho portato, con grande umiltà, la mia "È domenica", poesia del 2011 che fa parte della sezione Derive straniere della raccolta Amare derive.
Il tema è la classica passeggiata estiva dei tranesi (Trani è la mia città natale) nel giardino pubblico sul mare, che al sud chiamano Villa.
È DOMENICA e s’affolla d’ombre e genti la Villa – bell’anima antica verde a giuochi, a illusi amori fra falciate aiuole – una poesia di palme e lecci e pini e tamerici (germoglia un fiore di nostalgia?) in un angolo buio al cuore una luce di viali e fontanelle spingono famiglie e amorini e giovani mogli coi carrozzini e vecchi stanchi sui pesanti anni e a gesti a gridi di voci e cicale vanno tutti alle ringhiere di sale a veder l’aroma acerbo del mare (è un restare quel che m’assale?) e s’alza d’esilio una nebbia accanto all’essere mio non sfronda radici e in quel che ero oggi erro straniero.
Oggi l’esule, il vero e tragico uomo fuori suolo è il migrante… da Derive di carta del 2015 leggo "Gli umani", poesia scritta osservando uno stormo autunnale di rondini in volo
GLI UMANI Quando neri dall’innato alto andar via – sull’autunno aspro di vento maestro lontano – i migranti quieti colmano con grazie di nugoli tersi il riguardare di noi umani: senz’ali e già di terre neri su onde avverse e spini di ferro persi stanno gli umani che mai rimiriamo.
«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti»
Cesare Pavese
... E s’alza
d’esilio una nebbia accanto / a
l’essere mio non affonda radici / in quel
che sono vago straniero.