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sabato 4 aprile 2020

l'impazienza

Mandorlo di O. Cazzador


CHIEDI A UN MANDORLO  di G. Conte

Chiedi a un mandorlo a marzo
al rosa titubante del pescheto.
Chiedi a una nuvola dell’alba.
Chiedi a un torrente che irrompe nel greto, 
Chiedilo a tutti i fichi degli orti
quando i rami contorti e spogli
cominciano a formicolare
di germogli
chiedi a loro.

Saprai cos’é l’impazienza
che ti attanaglia e ti sgomina
quando tu desideri,corpo.
Saprai la tua innocenza e la tua forza.
Saprai dell’amore più verità
che leggendo tutti i libri scritti
dall’inizio dei tempi.
Non fidarti dei filosofi
né di Platone né di Eraclito
Non interrogare i profeti
i sapienti, i sacerdoti
su cosa è la tua brama,
non saprebbero dirtelo.

Chiedi a un mandorlo.
Guarda un mandorlo.

mercoledì 25 marzo 2020

che cosa vuoi?

Hermes, Euridice e Orfeo - Museo archeologico nazionale di Napoli

PER L’ANDATO AMORE

fu lei quella che a lumi velata
nel fatuo umidore dell’albore
su vaga orma e con fioca mano
per l’andato amore lì mi voltò:
ed io volto a quel muto bel volto
a capo chino e con chiusa di mano
già franto le chiesi: che cosa vuoi?

e quell’accanto dell’ombra compagno
con curva mano disse: ” il buio vano”.

G. Nigretti da dello sguardo viandante, 2020


Poesia molto bella, che reinterpreta il mito di Orfeo, spingendo lo sguardo sul destino, l’amore e la morte.

Struttura compositiva - I primi 3 vv. inizianti con la bella inversione Fu Lei centrano la figura di Euridice, che nel verso 4 induce Orfeo a volgersi indietro: lì mi voltò. La volontà di non tornare alla vita proviene da Euridice. I successivi vv. 5, 6, 7, hanno come soggetto Ed io, Orfeo; gli ultimi due versi, riferentesi all’accanto dell’ombra compagno (con bell’iperbato), indicano Hermes.
Dunque, lo spazio che occupano i personaggi, così come appaiono allineati sul bassorilievo, è: 4+3+2, con prevalenza conferita ad Euridice, l’ombra che non vuole tornare corpo d’amata. 

Descrizione - Ella appare nell’oscurità (a lumi velata), avvolta nelle brume silenziose e roride del regno dei morti, orma fioca di un’ombra che si spegne, con una mano posata sulla spalla di Orfeo, mentre l’altra sta abbandonata e raccolta. È lei che fa voltare (il latino respicere) il capo ad Orfeo.
Lei non si fa passivamente condurre da Hermes verso la luce; ormai, murata nell’oblio e nell’abbandono, ha accolto in sé il vuoto e il silenzio perenne e si nega all’amato. (Rilke: e non pensava all’uomo che era innanzi / non al cammino che saliva ai vivi).
Orfeo le si rivolge domandandole, con gesto interrogativo della mano, cosa voglia. Lei, dimentica del suo passato felice nell’amore, non intende tornare ad una vita che si sarebbe conclusa con un’altra morte. Le fitte allitterazioni della O, quasi un “ingorgo” vocalico, incombono sulla scena, apportando sensi enigmatici e sospesi, mentre A ed E portano morbidezze allusive.

Riflessione - Gli elementi presenti sono tutti corporei, anche se per Euridice si parla di un’inattingibile ombra: la mano (ripetuta 3 volte), il capo, il volto. Gli aggettivi che accompagnano i nomi sono incisivi ed essenziali: fioca, curva mano, muto bel volto, capo chino
Il buio che sommerge il tutto è vano, vuoto, cavo e silente. Al di là dell’intriso umidore, non ci sono altre sensazioni: l’oscurità e il vuoto impediscono percezioni visive e uditive. Le emozioni sono tutte interiori: Orfeo è franto, chiuso nel disperato gesto di richiamare in vita l’andato amore.
Ma il destino è più forte della morte, un’altra possibilità di vita è sbarrata, perché, come la prima, passerebbe ineluttabilmente per la strettoia del morire. Inutile far ripetere l’eterno ritorno.

Interpretazione - Il punto di vista espresso nella poesia rappresenta una torsione nello sguardo rispetto alla millenaria interpretazione del mito di Orfeo, che lo vede infedele al patto con gli dei di riavere Euridice impegnandosi a non voltarsi indietro.
Di fronte al groppo irriducibile della morte, che neanche la pietà degli dei può sbrogliare, un più moderno approccio si interroga sulla plausibilità del recupero di ciò che è ormai passato, e qui, di una seconda opportunità sulla terra, solo per amore.
Per questo Orfeo si volge ad Euridice e il suo silenzio è una risposta di morte: per bocca del messaggero degli dei (il dio dei viaggi e del lontano annunzio) il suo comportamento sancisce la volontà di restare negli inferi. Così l’ombra resta ombra, negata alla vita.
Per lei resteranno ad Orfeo, sulla terra, solo il pianto, il canto, la poesia.

era in se stessa, e il suo dono di morte / le dava una pienezza (Rilke)
Ornella Cazzador

mercoledì 11 settembre 2019

birre


Risultati immagini per dolle

L’ICONICA BELLEZZA

è una bionda birra che spumeggia
sullo scabro del vivente malfermo
in pieno sbando per la ferma icona:
che di notte si abbatte sulle carte – e
la mano come il latte dell’albore
borbotta sul bianco dense parole – e
la cosa sempre bella è che ride

dal vetro di baldo malto lontano
bevendo al gran boccale nella mano.

G. Nigretti da Derive della mano, 2019


Vedo dal titolo dell'oggetto: birre, e capisco che ci sono birre e birre. Quelle ordinarie di tutti i giorni e quelle funzionali a rappresentare una metafora. Che la birra sia molto cantata dai poeti è un fatto noto, (come il vino del resto), ma le due bevande hanno molte differenze, sia per i contesti, sia per le ricadute (emotive, psicologiche) sui soggetti coinvolti.
La birra - per il suo gusto, per come si presenta e la si beve - (Bukowski la definisce "amante continua") ha suscitato l'interesse dei poeti Simbolisti, di Rilke, Eliot, Dylan Thomas, solo per citarne alcuni. Anne Sexton dice: Dio ha una voce bionda, morbida e piena come la birra.
Qui, la bionda birra (con allitterazione della B, che va a caricare l'effetto che produce) SPUMEGGIA. Verbo fonosimbolico, che assume forza espressiva e vitale, oltre che valore estetico, in quanto presenta una cosa bella e seducente. Ciò produce sul vivente malfermo (di cui cogliamo una forma "scabra", e lo sappiamo in pieno sbando) uno stordimento, uno spiazzamento. 
L'icona è ferma. L'opposizione ferma/malfermo rende bene una situazione dissimmetrica tra la stabile icona e il vivente, che è vacillante. La ferma icona, nella notte, si abbatte (= arriva con la forza di un uragano) sulle carte, cioè sulle pagine su cui scrivere poesia, quella che permetterebbe al poeta di vivere almeno una parvenza di vita e "di sciogliere il canto del suo abbandono" (Ungaretti).
La sua mano è lattea come il bianco mattino (bianco è anche il colore dell'assenza) e bor-botta, (vivace fonosimbolismo), cioè arriva solo a borbottare, incapace di articolare su quel bianco foglio le "dense parole" che vorrebbe.
Ma l'immagine (l'iconica bellezza), che il poeta ha davanti, altera e superba, chiusa in sé, sorride al poeta, attraverso il vetro, bevendo dal gran boccale. Lui la vede solo riflessa: è un gioco di sguardi, riflessi da un vetro? Gioco di apparenze; un ritrarsi, un nascondersi? Lei marca la sua distanza? È intenzionata a farlo soffrire? Che ci siano elementi di sofferenza è evidente da: malfermo, pieno sbando, si abbatte, borbotta... Lei è "lontana" (baldo malto lontano).
Concludo la parafrasi così: al poeta mancano le parole per esprimere ciò che prova verso quell'iconica bellezza, che lo ha irretito (il suo seducente spumeggiare) e sbatte le ali sul foglio dove vorrebbe cantare/poetare riuscendo a vergare solo pochi e disarticolati segni. Lei resta impassibile e sorniona: "ride" e lo guarda attraverso il vetro del bicchiere.
Dylan Thomas, il visionario e maledetto poeta gallese, raccontando a un'amica alcuni momenti della sua vita, ricordava quando andava nelle Uplands vicino casa ed entrava in taverna a bere "una, forse due pinte di birra".
La prima frase del poeta suona così: I liked the taste of beer... Amavo il gusto della birra, la sua schiuma bianca, la sua profonda brillantezza ramata, il mondo che sorgeva attraverso le pareti brune e umide del vetro...
 Ornella Cazzador


giovedì 8 agosto 2019

ignude sirene

SUL DENSO MARE 

nuota spesso il pensiero e non è male
che di sguardi non abbia più approdi o
larghi imbarchi per l’amare a derive
di quel bel giuocare a fare il cantore
con le ignude sirene sul muto cuore
che ora lo destano a sepolte memorie
per la mano ferma sotto l’astro spento

sulle sponde a ponente di nostra attesa:
che a lemmi di sale non ritorni a quelle.

G. Nigretti, da Derive della mano, 2019




Carissimo, di primo acchito le tue poesie non sono facili, ma poi bisogna farsi prendere per mano dal testo e cercare sentieri conoscitivo/interpretativi. Qui il paesaggio è il denso mare, mare oscuro, pieno di insidie. Ma anche di malie e di miraggi (le sirene) che tanta parte hanno nella vita.

Ci sono due fuochi: uno esterno, il mare (con una serie di parole ben conteste/connesse) e l'altro interno (pensiero, sguardo, muto cuore, destano, amare, mano ferma...).
La linea tematica comprende nel suo tracciato: pensiero, sepolte memorie, attesa, lemmi di sale. Qui dentro è compresa tutta una vita. 

Il poeta - ironico con sé stesso - ha spesso giocato con le parole, ben conscio del loro potere incantatorio e straniante, come il mitico canto delle sirene (ancora una volta, il mito getta un cono di luce sull'interpretazione della vicenda umana). Ora ancora lo destano, "ignude", sensuali forme oniriche dal canto mielato ma ominoso.
Ma il cuore è muto, le memorie sommerse nel profondo, la mano è ferma (inceppata?), l'astro è spento. Ora Egli si trova sulle sponde a ponente, sulle rive d'occaso, alla fine del giorno, quando la vita non è più una promessa, ma l'attesa della fine. Egli non vuole più riappropriarsi di tutti quei momenti perduti nel tempo, che hanno l'amaro sapore del sale.

Nelle sirene è rappresentato il canto che ammalia e che uccide (hanno disseminato di cadaveri l'isola, Omero. Libro XII). La loro voce melodiosa e sfidante promette la conoscenza (ma Egli va dopo averne goduto, sapendo più cose, Omero, XII). Per questo Ulisse chiese nodi più stretti e doppi, per non cadere nel loro inganno e continuare il viaggio.

Le ho viste al largo cavalcare l'onde
Pettinare la candida chioma dell'onde risospinte
.............. 
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune. 
Finché le voci ci svegliano e anneghiamo 

Eliot: Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock

p.s.: cosa promettono le sirene? Di svelare al viandante ciò che accade ed è accaduto sulla terra, per renderlo finalmente  sapiente.

Omero. Libro XII

Nessuno è mai passato di qui 
Con la nera nave
Senza ascoltare con la nostra bocca
Il suono di miele
Ma egli va dopo averne goduto
E sapendo più cose

La conseguenza? 

... intorno è un
Mucchio di ossa
Di uomini putridi
Con la pelle che raggrinza

Ornella Cazzador


venerdì 2 agosto 2019

timoniere dell'aria


DE-SIDERA di Ornella Cazzador

Poeta, non incagliare il tuo legno
disancorato sulle sabbie del tempo;
non fare che si infranga sull'onda
rapinosa delle scogliere. 
Non sporgerti oltre sul buio
né sostare sul filo indecidibile
della faglia.
Ma continua il tuo viaggio
- timoniere dell'aria - 
scrutando il cielo. 
Ai cristalli dormienti della notte obliosa 
segue l'oro delle aurore;
il tocco di perla della luna
governa le maree della vita. 
E mentre attraversi i più fiochi vortici
di luce concentrici
verso il punto di verità, 
restano ferme le montagne, 
scorrono i fiumi verso il mare, 
risuona il silenzioso moto dei pianeti. 
Non temere, piccola anima, 
di desiderare l'universo. 
La nostra polvere dissolta nello spazio infinito
scintillerà come scia di ritornanti comete.

mercoledì 31 luglio 2019

erranti memorie


DI NOTTE A LÈVICHE 

Qui che le case non hanno le porte
solo la notte apre gli occhi alle volte:
che portano per le erranti memorie 
nei cieli del sognare con le mani
al pelago aperte che ci guardava
l’andare a volare con i gabbiani
sulle reti emerse dal fondo mare

ricolme di miele dell’antico cielo e
di parole che la dolce carta chiama.

G. Nigretti da Derive della mano, 2019

Lèviche”: Santa Maria di Leuca in dialetto salentino


Lèviche è il luogo in cui le case non hanno le porte; solo la notte apre gli occhi alle volte… Il tempo è il presente del poeta.

Il tema: la notte reca memorie erranti e sogno/desiderio si fanno tutt’uno nell’animo del poeta, come pelago e cielo si immedesimano e si mescolano nella loro vastità.
(La L che ricorre in entrambe le voci lessicali, essendo un suono continuo, amplifica la loro estensione).
Il desiderio del librarsi in volo è evocato dai gabbiani nel cielo; mentre le mani sono aperte sull’oscurità del pelago, la cui profondità è connessa all’idea delle reti emerse dal fondo mare. In questo mare, il poeta pesca i ricordi sommersi, un momento realmente accaduto.

Al poeta giungono nel sogno le memorie, analogicamente riferite alla dolcezza del miele, colato sotto un cielo antico; lontano favoloso; e la nostalgia, il desiderio, il sogno chiedono di avere voce nel linguaggio poetico.

e ti scrivo da qui, da questo tavolo
remoto, dalla cellula di miele
di una sfera lanciata nello spazio…

(Montale, Notizie dall’Amiata)

Solo la poesia - attraversando il mondo delle cose per approdare a quello simbolico del verso - può dare alle cose passate una voce, ancorché di-versa, (perché le cose passate hanno una voce diversa), ma capace di eternare l’attimo fuggito e perpetuare pezzi pur perduti di vita trascorsa.

La poesia è quindi avventura dell’anima tradotta in parola, congiunzione ineffabile di suono e di senso, che può traghettare nella dolce carta le cose del passato. 

Quest’ultimo appare trascolorato e impalpabile (Un murmure; e la tua casa s’appanna / come nella bruma del ricordo - Montale, Sotto la pioggia) a confronto col presente doloroso, ma vero. Così si rende esprimibile/rappresentabile il dramma dell’uomo, gettato in un mondo di contrari: speranza e disperazione, oblio e ricordo; straniato di fronte alle derive imponderabili della vita.

Con lieve cuore, con lieve mano / la vita prendere, la vita lasciare. (Cristina Campo)

Ornella Cazzador

martedì 18 giugno 2019

candido dedalo

A VUOTA CARNE 

torrida già sgorga dal vago chiaro 
l’ultima ora nel candido dedalo 
dove si ritorna solo a parole –:
per gli andati giorni di ombra logora 
che nuda a vuota carne si allungava
al vento caldo del brumoso mare
dell'indifferenza che ci consola

l’essere a muta tenebra di sole 
discende a sale di clessidra eguale.

G. Nigretti, da Derive in carne 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador

Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa,  un commiato di  due versi. Versi endecasillabi.
Il tessuto è denso di aggettivi: torrida, chiaro, candido, caldo, brumoso, muta, eguale, che rendono le emozioni, i pensieri, la soggettività del poeta, che riflette sulla condizione umana.  Gli aggettivi appartengono anche a sfere sensoriali diverse: torrida, caldo si avvertono con l‘epidermide; mentre chiaro, candido, con la vista; brumoso rende conto di un’atmosfera umida e liquida, che dal mare si alza e rende incerta e ingannevole la visione.

La tramatura delle parole è di quelle care al poeta: carne; parole; dedalo; mare, con tutto il peso che portano con sé,  segni distintivi del suo mondo poetico. Gli echi e i rimandi tra le parole percorrono il testo  fittamente, elaborando  un pensiero forte, trasformato in figure (per es., dedalo, clessidra…).
La carne sarà nuda e vuota nell’ultima ora di nostra vita, quando l’intrico labirintico nel quale siamo gettati apparirà ormai pervaso di candida luce; e quindi cadrà il velo sul nostro destino.  A questa luce si oppone l’ombra logora degli andati giorni. Un’altra opposizione è la muta tenebra di sole. L’immagine analogica della clessidra fa riferimento allo scorrere del tempo, nel quale  ha luogo l’umana vicenda  esistenziale. L’opposizione sole/sale associa il tema del sole (legato al mare) a quello simbolico del dolore.

Profilo retorico: Tra le figure del suono, molte le allitterazioni, che  rendono più incisivi gli stati d’animo e le impressioni del poeta.  Nel titolo,  in parte ossimorico (vuota carne) predomina il suono A che è la vocale aperta per eccellenza.
Primo verso: forte allitterazione del suono R che percorre tutto il verso, dando l’idea di qualcosa che scorre e pervade – essendo R un suono liquido e continuo –. Allitterazione anche del suono G – esplosivo e sonoro (sgorga e vago) che dà sonorità al verso e  ricostruisce foneticamente l’atto dello scaturire;  
Secondo verso: candido dedalo presenta quattro ripetizioni del suono D che è consonante dentale, esplosiva  sonora;
Terzo verso: uso del corsivo per mettere in rilievo il concetto dell’indicazione di un luogo (un dove, un altrove); dove si ritorna solo a parole corrisponde ad una perifrasi; 
Quarto verso: andati giorni: allitterazione di N, suono continuo, che dà l’idea di uno scorrere; ombra logora: allitterazione di R. anch’esso suono continuo, che qui dà l’idea di un logoramento che dura, pur parlando di ombra.  Allitterazione della vocale O. 
Quinto verso: nuda a vuota carne, tre parole corte (bisillabiche) che obbligano il lettore a considerarne la brevità, l’inconsistenza; pur accompagnandosi a carne, che è parola semanticamente piena.
Sesto verso: chiasmo in: vento caldo del brumoso mare. Il filo interno della poesia  si riallaccia a torrida con cui si apre la lirica;
Settimo verso: allitterazione di E, vocale centrale, che immaginativamente si lega al concetto di indifferenza=stato neutro; omogeneo strato di realtà – unico elemento, portatore di consolazione, che si offre all’uomo: l’indifferenza che ci consola.
Ultimi versimuta tenebra sinestesia; tenebra di sole: ossimoro. Sole in opposizione a sale (paronomasia) è l’immagine centrale.  Il sale è analogia che crea il contrasto di immagini e di sensazioni in quanto dà figurativamente l’idea della sofferenza. La clessidra suggerisce l’idea del tempo che scorre. Chiude il verso l’aggettivo eguale che rende tangibile la similitudine evocata. Anastrofe (figura dell’ordine) in: discende a sale di clessidra eguale.

Analisi tematica - La poesia inizia con il vago chiaro e il candido dedalo e termina con muta tenebra di sole. L’intera parabola esistenziale si apre e si chiude con queste suggestioni di colore. Gli aggettivi (legati alle sensazioni di vago e oscurità) sono usati in funzione tematica e dunque rappresentano il corso (il filo, lo stame) della vita, di cui l’uomo si trova (ahimè, inopinatamente) a disporre.

Ad aprire e chiudere la lirica, ci sono anche i verbi sgorga e discende, opposizione che genera un movimento. Impressione acustica la prima, visiva la seconda. L’immagine della clessidra pone il sigillo definitivo a questo faticoso scorrere. La vita umana è collocata nel tempo, vuoto e muto. In questo contesto le piccole storie umane sono sabbia che scorre – ignota, non individuata - che scivola dentro la clessidra. Mille storie senza colore che precipitano nell’imbuto del tempo. Chi le conosce?. Il poeta ne segue la lieve traccia, si riconosce nel destino comune, nell’essere che connota la nostra esistenza,  eguale allo scorrere di un granello di sabbia che, insieme  agli altri,  precipita nella clessidra. L’unica barriera consapevole che l’uomo può opporre al suo destino è appoggiarsi all’umana indifferenza (per Montale, la divina indifferenza).  
Tematicamente, le parole (con il peso esercitato dai suoni e dai significati che si intrecciano tra di loro con richiami semantici molto vividi) creano l’opposizione tra vita e morte . La morte è l’ultima ora; dove si ritorna solo a parole; quando ci sarà la vuota carne; in opposizione alla vita,  come ombra logora; che si allunga nel tempo (l’immagine della clessidra). Dunque,  una poesia di contrasti (nuda a vuota carne/ombra logora; sole/sale; l’indifferenza che ci consola), attraverso i quali il poeta non manca di interrogarsi sull’incomprensibilità  della vita, che ci conduce con la sua forza misteriosa verso il punto finale. 
Oscuramente forte è la vita (Quasimodo).  
Ornella Cazzador

lunedì 17 giugno 2019

l'indifferenza

L’INDIFFERENZA

della mano è cosa buona e sana
per le derive del raffermo andare –:
perché mai le importa se a onde ribatte
le irte scogliere di nostra sostanza
che a ogni istante non cessa di acclamare
su questa umana fossa senza carne
l’indifferenza che di mano sbatte

il naufragato essere del viandante
fra scorie sfatte di vane memorie.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador


Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa, un commiato di due versi. Versi endecasillabi.
Le parole tematiche emergenti nella poesia sono: mano; derive; fossa; carne, indifferenza; naufragato, scorie; memorie. Gli aggettivi, densi e pregnanti sono: raffermo; sfatte; vane. Queste parole ineriscono al gusto e al pensiero del poeta. Infatti tornano in altre poesie costituendo un coagulo di temi e connotando, in modo personalissimo, la sua voce poetica.
La poesia è alquanto enigmatica, e ciò lascia l’interpretazione indefinitamente aperta, come peraltro è tipico della poesia, il cui messaggio è sempre “aperto” e leggibile da più punti di vista.

Piano retorico: forte presenza di allitterazioni che vanno a rimarcare le evidenze che il poeta intende rilevare. Ne sono efficaci esemplificazioni, ad es., le espressioni:

per le derive del raffermo andare. Qui il poeta, attraverso la ripetizione ossessiva del suono R, dà il senso dell’errare lungo le derive sfatte dei nostri cammini; 
ribatte/le irte scogliere: l’allitterazione di R crea un paesaggio minaccioso e tempestoso, che evoca la vita umana; 
scorie sfatte: l’allitterazione di S. rende espressivamente l’idea del residuo, del marcio, del rifiuto abbandonato;
vane memorie; la presenza di N e M, entrambi suoni continui, con allitterazione di M, permette di sentire una continuità nelle impressioni legate all’emozione, al ricordo, al passato. 

I verbi ribatte/sbatte; l’espressione scorie sfatte, con quella doppia consonante interna, hanno una resa molto drammatica, espressa con la ripetizione della T (suono esplosivo e sordo) e la S sibilante. Ribatte e sbatte formano una rima; mentre sfatte è rimalmezzo. Tali verbi formano anche un enjambement con l’oggetto che segue nel verso successivo. 

I tre verbi ribatte, sbatte, sfatte attraversano diagonalmente il testo. La mano, invece, dà luogo a una lettura circolare, in quanto apre e chiude la lirica, conferendole centralità e aggrumando intorno ad essa il senso globale. 

Piano tematico e semantico: la tramatura è fitta di immagini: mano; derive; irte scogliere; umana fossa, vane memorie. Il centro di pensiero ruota intorno alla mano del poeta che registra, attraverso una scrittura poetica irta e puntuta (il pensiero va alla montaliana storta sillaba e secca come un ramo) la triste e opprimente condizione dell’uomo.

È cosa buona e sana per l’uomo raggiungere l’indifferenza di fronte alle forze che lo sovrastano, nella lotta a non soggiacere al peso di una condizione figurativamente rappresentata dalle irte scogliere. La mano che ribatte sul foglio di carta la sua opposizione alla realtà  della vita (umana fossa senza carne) non rimane inerte, al contrario, portatrice di una sua verità, non cessa di acclamare l’inganno del destino, e, dunque, (sempre alla luce della suggestione montaliana), la poesia deve esporsi e comunicare: a lettere di fuoco/lo dichiari (“Non chiederci la parola”). Cogliendo i rimandi intertestuali, la poesia si rende come corale definizione delle contraddizioni dell’esistere.

Le forze, oscure e minacciose, evocate sonoramente dai verbi e dal paesaggio - colto nella prospettiva verticale e in profondità: irte scogliere e fossa - si abbattono sull’uomo. E l’umana indifferenza issa il suo vessillo sul genere umano, sulla turba dei viventi (in altra poesia: morti), la cui sostanza è costitutivamente quella di esseri fragili, esposti ad ogni capriccio della natura, piegati a una vita condotta sul ciglio di una fossa, ridotti a essere senza carne - con la morte, meta irriducibile dell’esistenza. L’uomo appare figurativamente come viandante (collegato al raffermo andare); oppure il naufragato essere, collegato all’idea del mare: onde e scogliere. Significativa l’ultima immagine delle scorie sfatte, che suggella la poesia, e simboleggia l’umano destino di morte, di riduzione al nulla.

Nostra sostanza si vuol riferire non solo all’esperienza personale del poeta, ma alla volontà di riconoscersi in un dramma universale (nostra sorte, presente anche in altre poesie). Per questo, il poeta continua a interrogarsi sul suo destino e riconosce l’indifferenza (l’atarassia) come meta cui tendere. Ciò gli permette di guardare senza orrore la deriva, il naufragio verso cui va l’esistenza, e nello stesso tempo, di comunicarla, sia pure sul foglio di carta, realtà finita e inconsistente a sua volta, a tutti i suoi simili. A questo proposito, anche Pasolini afferma che la vita è restare dentro all’inferno, con la marmorea volontà di capirlo. Molto vicini gli echi da Eliot, in Gli uomini vuoti:

Siamo gli uomini vuoti
Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillio di una stella che si sta spegnendo

L’idea che una forza superiore pianti il proprio vessillo sul genere umano e dunque marchi la propria vittoria è molto presente anche nella poesia inglese: poesie di John Donne, e Shakespeare (Sonetti). In quest’ultimo, non è l’indifferenza, ma la morte a vincere. In John Donne, è la vita a vincere sulla morte. 
In-differenza si può leggere (tra i molti significati) anche come mancata differenza/non differenza: per tutti il destino è uguale: la fossa, colma di scorie; di memorie vane
Ornella Cazzador