PERSONAE SEPARATAE di Eugenio Montale Come la scaglia d’oro che si spicca dal fondo oscuro e liquefatta cola nel corridoio dei carrubi ormai ischeletriti, così pure noi persone separate per lo sguardo d’un altro? E’ poca cosa la parola, poca cosa lo spazio in questi crudi noviluni annebbiati: ciò che manca, e che ci torce il cuore e qui m’attarda tra gli alberi ad attenderti, è un perduto senso, o il fuoco, se vuoi, che a terra stampi, figure parallele, ombre concordi, aste di un sol quadrante i nuovi tronchi delle radure e colmi anche le cave ceppaie, nido alle formiche. Troppo straziato è il bosco umano, troppo sorda quella voce perenne, troppo ansioso lo squarcio che si sbiocca sui nevati gioghi di Lunigiana. La tua forma passò di qui, si riposò sul riano tra le nasse atterrate, poi si sciolse come un sospiro, intorno – e ivi non era l’orror che fiotta, in te la luce ancora trovava luce, oggi non più che al giorno primo già annotta.
SABBIA di Luis Aguilera Passa l'ultimo amore verso un'età proibita. Nessuno esce a riceverlo, a rallegrarsene, a festeggiarlo. Come la foglia staccatasi dall'albero non interrompe la sua luce: narra un'altra stagione o la proscrive. Sedicente, matura nella lentezza lo splendore che lo scopre. Sopra la prima linea delle labbra baci di sabbia che rimangono per udire il mare quando si allontana.
AUTOPSICOGRAFIA di Fernando Pessoa Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente. E quanti leggono ciò che scrive, nel dolore letto sentono proprio non i due che egli ha provato, ma solo quello che essi non hanno. E così sui binari in tondo gira, illudendo la ragione, questo trenino a molla che si chiama cuore.
SUL TETTO scaglia la pioggia un pigolar di voci fallaci, di ombre già spoglie di sole e di parole: – che al di là del tempo a echi fatuo – a vera parvenza stanno “a governar del visibile mondo tutte le cose” sul tetto e da quel profluvio colando a fiotti guardi e via mai non vanno dalla casa o da piana caverna di carta. Forse perché qui per terra c’è il parchè.
Ombra ferita, anima che vieni zoppicando, strisciando dal tuo fioco asilo a cercare nei sogni il poco che rosicchio per te all’andirivieni
dei risvegli e degli incubi, agli osceni cortei delle sciarade, così poco che qualche volta quando arrivi il fuoco è già spento, divelte le imposte, pieni
di insulsi intrusi o infidi replicanti l’immensità della cucina, il banco di scuola, il letto, dammi tempo, non
svanire, il tempo di chiudere i tanti conti vergognosi in sospeso con loro prima di stendermi al tuo fianco.