martedì 27 gennaio 2015
una voce
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giovedì 22 gennaio 2015
un'eco poco
NELL'ATTESA di E. Montale
E’ strano che tanto tempo sia passato
dall’annuncio del grande crac: seppure
quel tempo e quella notizia siano esistiti.
L’abbiamo letto nei libri: il fuoco non li risparmia
e anche di noi rimarrà un’eco poco attendibile.
Attendo qualche nuova di me che mi rassicuri.
Attendo che mi si dica ciò che nasconde il mio nome.
Attendo con la fiducia di non sapere
perché chi sa dimentica persino
di essere stato in vita.
E’ strano che tanto tempo sia passato
dall’annuncio del grande crac: seppure
quel tempo e quella notizia siano esistiti.
L’abbiamo letto nei libri: il fuoco non li risparmia
e anche di noi rimarrà un’eco poco attendibile.
Attendo qualche nuova di me che mi rassicuri.
Attendo che mi si dica ciò che nasconde il mio nome.
Attendo con la fiducia di non sapere
perché chi sa dimentica persino
di essere stato in vita.
domenica 4 gennaio 2015
nel vicolo
SUL TETTO
scaglia la pioggia un pigolar di voci
fallaci, di ombre già spoglie di sole
e di parole: – che al di là del tempo
a echi fatuo – a vera parvenza stanno
“a governar del visibile mondo tutte le cose”
sul tetto e da quel profluvio colando
a fiotti guardi e via mai non vanno
dalla casa o da piana caverna di carta.
Forse perché qui per terra c’è il parchè.
G. Nigretti da Derivedi carta 2015
mercoledì 31 dicembre 2014
mercoledì 24 dicembre 2014
natale metropolitano
DI UN NATALE METROPOLITANO di E. Montale
Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
di fede e di pruina sul tuo lavandino
e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
di ragazzi infilati un po' alla svelta
nella cornice, una caraffa vuota,
bicchierini di cenere e di bucce,
le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
non più guerra né pace, il tardo frullo
di un piccione incapace di seguirti
sui gradini automatici che ti slittano in giù….
Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
di fede e di pruina sul tuo lavandino
e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
di ragazzi infilati un po' alla svelta
nella cornice, una caraffa vuota,
bicchierini di cenere e di bucce,
le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
non più guerra né pace, il tardo frullo
di un piccione incapace di seguirti
sui gradini automatici che ti slittano in giù….
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lunedì 15 dicembre 2014
non tace
DI UMANO TEMPO
quel che permane e senza nome scende
su carte per derive già saliva
– nera parola oggi lo scrive da sola –
e quel che sul velo segna era già di voi
voce, come quella che in sogno di casa
qui giace d’eretico amore arsa
e di umano tempo andato non tace.
Uguale è questa primavera: eco di rose
in carne tracima fiamma di voce reale.
G. Nigretti da Derive nel vento 2014
sabato 13 dicembre 2014
non siamo
da Ossi di Seppia di Eugenio Montale
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
***
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
***
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
venerdì 12 dicembre 2014
fru fru
VELOCE SBIADISCI
Dove sei tenero amore
di~letto?
ho letto l’odorate parole
sudate
tra tremiti hai sorpreso
i peri miei .
Ma come hai fatto senza pascoli
di leopardi?
fra i quadri e i cento colorati
piatti – di uno che
da un fru fru fra le fratte
versarti voleva sulle sponde di levante.
Sempre cara
di quella siepe
Rimani
Dove dell’ultimo
orizzonte
Escludi
voce
Mirando d’infinito
parole
In profondissimo
dolore
Veloce scolori
Di là dell’erme
tende
Fiorate
Fra
strappi e rammendi
Comparando
vai
Il
silenzio coniugale
E la morta
stagione nuziale
Annegata
nel canale
Del quotidiano
naufragare.
lunedì 8 dicembre 2014
domenica 30 novembre 2014
nausiche
AUSPICI
I
Scompigliate Nausiche
scambieranno amore
per un foglio di strabiche parole?
II
Navigando le derive bifronti
in qual tempo muteranno
dei tramonti gli
spigolosi orizzonti?
III
Sulla sponda d’alto
azzurro
sguardo di chi scioglierà
l’incognita sirena in
un sussurro?
IV
Chi tesserà i granelli persi
Nel frutto anfratto
dal fuoco fatuo disfatto?
Del bel grembo sinuoso
nella sera mattutina
come in sogno di
germoglio
l’acerbo corimbo
raccogli
nel vorticoso abbaglio.
G. Nigretti da Derive d'amore 2001/2004
domenica 9 novembre 2014
deserto
IL DESERTO di J. L. Borges
Prima di entrare nel deserto
i soldati bevvero a lungo l’acqua della cisterna.
Ierocle gettò per terra
l’acqua della sua brocca e disse:
Se dobbiamo entrare nel deserto,
io sono già nel deserto.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è una parabola.
Prima di sprofondarmi nell’inferno
i littori del dio mi permisero di guardare una rosa.
Quella rosa ora è il mio tormento
nell’oscuro regno.
Un uomo fu abbandonato da una donna.
Stabilirono di fingere un ultimo incontro.
L’uomo disse:
Se devo entrare nella solitudine
sono già solo.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è un’altra parabola.
Nessuno sulla terra
ha il coraggio di essere quell’uomo.
Prima di entrare nel deserto
i soldati bevvero a lungo l’acqua della cisterna.
Ierocle gettò per terra
l’acqua della sua brocca e disse:
Se dobbiamo entrare nel deserto,
io sono già nel deserto.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è una parabola.
Prima di sprofondarmi nell’inferno
i littori del dio mi permisero di guardare una rosa.
Quella rosa ora è il mio tormento
nell’oscuro regno.
Un uomo fu abbandonato da una donna.
Stabilirono di fingere un ultimo incontro.
L’uomo disse:
Se devo entrare nella solitudine
sono già solo.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è un’altra parabola.
Nessuno sulla terra
ha il coraggio di essere quell’uomo.
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Poesia
martedì 28 ottobre 2014
su tutte
L'ASSIUOLO di Giovanni Pascoli
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...
venerdì 10 ottobre 2014
passi sparsi
NEL FIANCO
Sta lì solo a tufo salso e di lato soltanto
la presenza già straniera di codesto sguardo
senza più quel gentile bel fiatare di fianco
a guardarlo... è lì desolato uguale a quella
sulla scoscesa scogliera. Ma qui – dove luce
di bastimento non passa – ci son solo i passi
sparsi: sul bianco fumo di questa carta spenta
o nel fianco di quell’antico convento, dove
senza pietà di vento la eco nostra sola sta.
G. Nigretti da Derive nel vento 2014
Sta lì solo a tufo salso e di lato soltanto
la presenza già straniera di codesto sguardo
senza più quel gentile bel fiatare di fianco
a guardarlo... è lì desolato uguale a quella
sulla scoscesa scogliera. Ma qui – dove luce
di bastimento non passa – ci son solo i passi
sparsi: sul bianco fumo di questa carta spenta
o nel fianco di quell’antico convento, dove
senza pietà di vento la eco nostra sola sta.
G. Nigretti da Derive nel vento 2014
lunedì 22 settembre 2014
con occhi
COME ADESSO di Lawrence Ferlinghetti
Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete
dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills
dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse,
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne,
fuori dai vostri tepees e dalle domes.
Gli alberi stanno cadendo ancora
e non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna
mentre Roma brucia.
San Francisco sta bruciando
la Mosca di Mayakovsky sta bruciando
i combustibili fossili della vita.
La Notte & il Cavallo si avvicinano
mangiando luce, calore & potere
e le nuvole hanno i calzoni.
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari,
non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie,
non è il momento ora per la paura & il disgusto,
è il momento solo per la luce & l’amore.
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
distrutte dalla noia ai readings di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene il momento di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.
Il momento ora di esporsi
nella completa posizione del loto
con gli occhi completamente aperti,
il momento ora di,aprire le vostre bocche
con un nuovo discorso aperto,
il momento ora di comunicare con tutti gli esseri coscienti,
tutti voi « Poeti delle Città »
appesi nei musei, includendo me stesso,
tutti voi poeti del poeta che scrive la poesia
sulla poesia
tutti voi poeti di poesia da workshop
nel cuore–giungla d’America,
tutti voi addomesticati Ezra Pound,
tutti voi poeti pazzi, sballati, da collage,
tutti voi poeti di Poesia Concrete pre–compressa,
tutti voi poeti da cunniligio,
tutti voi poeti da gabinetto a pagamento che vi lamentate con graffiti,
tutti voi ritmatori da metropolitana che non ritmate mai sulle betulle,
tutti voi padroni della segheria haiku
nella Siberia d’America,
tutti voi non realisti senza occhi,
tutti voi supersurrealisti autonascosti,
tutti voi visionari da camera da letto,
ed agitprop da gabinetto,
tutti voi poeti alla Groucho Marxista
e Compagni di ozio di classe
che restano inattivi tutto il giorno
e che parlano del lavoro di classe del proletariato,
tutti voi anarchici Cattolici della poesia,
tutti voi Neri Montanari della poesia,
tutti voi Brahamini di Boston e bucolici di Bolinas,
tutte voi baby–sitters della poesia,
tutti voi fratelli zen della poesia,
tutti voi amanti suicidi della poesia,
tutti voi grassi professori della poesia,
tutti voi critici di poesia
che bevete il sangue dei poeti,
tutti voi Poliziotti della Poesia –
Dove sono i figli selvaggi di Whitman,
dov’è la grande voce che parla ad alta voce
con un senso di dolcezza & di sublimità,
dov’è la nuova grande visione,
la grande visione del mondo,
l’elevata canzone profetica
dell’immensa terra
e tutto ciò che canta in essa
e il nostro rapporto con essa –
Poeti, scendete
nelle strade del mondo ancora una volta
e aprite le menti & gli occhi
con la vecchia delizia visuale,
schiarite la gola e parlate più forte,
la poesia è ,morta, lunga vita alla poesia
con occhi terribili e forza di bufalo.
Non aspettate la rivoluzione
o succederà senza di voi.
Smettete di mormorare e parlate ad alta voce
con una nuova poesia completamente aperta
con una nuova comune-sensuale «comprensione–pubblica»
con altri livelli soggettivi
od altri livelli sovversivi,
un diapason nell’orecchio interno
per colpire sotto la superfice.
Del vostro dolce lo che ancora cantate
ancora esprimete « la parola en-masse» –
Poesia il veicolo comune
per il trasporto del pubblico
verso luoghi più alti
di altre ruote che possano portarla.
Poesia che ancora cade dai cieli
dentro le nostre strade ancora aperte.
Loro non hanno ancora innalzato barricate,
le strade animate ancora con visi,
uomini & donne attraenti camminano ancora qui,
dovunque ancora attraenti creature,
negli occhi di tutti il segreto di tutti
qui ancora sepolto,
i selvaggi figli di Whitman qui ancora dormono,
si svegliano e camminano nell’aria aperta.
Giugno 1975
Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete
dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills
dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse,
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne,
fuori dai vostri tepees e dalle domes.
Gli alberi stanno cadendo ancora
e non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna
mentre Roma brucia.
San Francisco sta bruciando
la Mosca di Mayakovsky sta bruciando
i combustibili fossili della vita.
La Notte & il Cavallo si avvicinano
mangiando luce, calore & potere
e le nuvole hanno i calzoni.
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari,
non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie,
non è il momento ora per la paura & il disgusto,
è il momento solo per la luce & l’amore.
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
distrutte dalla noia ai readings di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene il momento di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.
Il momento ora di esporsi
nella completa posizione del loto
con gli occhi completamente aperti,
il momento ora di,aprire le vostre bocche
con un nuovo discorso aperto,
il momento ora di comunicare con tutti gli esseri coscienti,
tutti voi « Poeti delle Città »
appesi nei musei, includendo me stesso,
tutti voi poeti del poeta che scrive la poesia
sulla poesia
tutti voi poeti di poesia da workshop
nel cuore–giungla d’America,
tutti voi addomesticati Ezra Pound,
tutti voi poeti pazzi, sballati, da collage,
tutti voi poeti di Poesia Concrete pre–compressa,
tutti voi poeti da cunniligio,
tutti voi poeti da gabinetto a pagamento che vi lamentate con graffiti,
tutti voi ritmatori da metropolitana che non ritmate mai sulle betulle,
tutti voi padroni della segheria haiku
nella Siberia d’America,
tutti voi non realisti senza occhi,
tutti voi supersurrealisti autonascosti,
tutti voi visionari da camera da letto,
ed agitprop da gabinetto,
tutti voi poeti alla Groucho Marxista
e Compagni di ozio di classe
che restano inattivi tutto il giorno
e che parlano del lavoro di classe del proletariato,
tutti voi anarchici Cattolici della poesia,
tutti voi Neri Montanari della poesia,
tutti voi Brahamini di Boston e bucolici di Bolinas,
tutte voi baby–sitters della poesia,
tutti voi fratelli zen della poesia,
tutti voi amanti suicidi della poesia,
tutti voi grassi professori della poesia,
tutti voi critici di poesia
che bevete il sangue dei poeti,
tutti voi Poliziotti della Poesia –
Dove sono i figli selvaggi di Whitman,
dov’è la grande voce che parla ad alta voce
con un senso di dolcezza & di sublimità,
dov’è la nuova grande visione,
la grande visione del mondo,
l’elevata canzone profetica
dell’immensa terra
e tutto ciò che canta in essa
e il nostro rapporto con essa –
Poeti, scendete
nelle strade del mondo ancora una volta
e aprite le menti & gli occhi
con la vecchia delizia visuale,
schiarite la gola e parlate più forte,
la poesia è ,morta, lunga vita alla poesia
con occhi terribili e forza di bufalo.
Non aspettate la rivoluzione
o succederà senza di voi.
Smettete di mormorare e parlate ad alta voce
con una nuova poesia completamente aperta
con una nuova comune-sensuale «comprensione–pubblica»
con altri livelli soggettivi
od altri livelli sovversivi,
un diapason nell’orecchio interno
per colpire sotto la superfice.
Del vostro dolce lo che ancora cantate
ancora esprimete « la parola en-masse» –
Poesia il veicolo comune
per il trasporto del pubblico
verso luoghi più alti
di altre ruote che possano portarla.
Poesia che ancora cade dai cieli
dentro le nostre strade ancora aperte.
Loro non hanno ancora innalzato barricate,
le strade animate ancora con visi,
uomini & donne attraenti camminano ancora qui,
dovunque ancora attraenti creature,
negli occhi di tutti il segreto di tutti
qui ancora sepolto,
i selvaggi figli di Whitman qui ancora dormono,
si svegliano e camminano nell’aria aperta.
Giugno 1975
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domenica 21 settembre 2014
altra luce
VENTO A TINDARI di S. Quasimodo
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima
A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.
Tindari, mite ti so
Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.
Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima
A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.
Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.
Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.
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