DI FRONTE A MONTÀ la vista non è quella alla Degas, a zigzag con due assenti al bar: è come quella al locale di Arles, dal fondo tavolo frontale e di vacuo sodale umano; però il sabato cielo è un po’ quello di – nulla resta uguale – sopra il prato di fritto e vino che la fiera porta col sepolto vano di nostro andato. G. Nigretti da Derive nel vento 2014
SOGNO di G. B. Marino In sogno ancora (Amor, che puoi più farmi?) gioco mi fai del tuo spietato impero. Ecco colei, che già mi sparve, apparmi in dolce atto vezzoso e lusinghiero. Com’esser può che possa il sonno darmi quel che ’n vigilia poi mi nega il vero? Che mi conceda or tu quelche mostrarmi non ardì mai l’adulator pensiero? Ma se ben erro ed insensibil giaccio, quanti oggetti più cari il senso formi non vaglion l’ombra del’error ch’abbraccio. Ahi, ben vegg’io che mentre in grembo a tormi viene il riposo ed io gli dormo in braccio, vegghia il mio incendio, e tu crudel non dormi.
DI FRONTE sta – ferma lì, senza fine eguale – a un fiore di pietra – nell’incolto presente un’assenza che da sempre non so mai se di fronte sorgiva sia di reale ombra o di mente uscita parvenza, che su carta già fioriva – senz’alito di vita su nebulo fondo il guardo si posa: come bianco velo senza la sposa. G. Nigretti da Derive di scorie 2016
A TRANI I TRENI A VAPORE di A. Cabianca A Trani i treni a vapore Tratti in depositi stravecchi Tramano per tornare liberi Su tratte di binari a ferrivecchi; Cavalli selvaggi li accompagnano Pronti a trotterellare affianco Come si addice a un branco Che non lo prendi in trappola: Sei tu il troppo che scalpita.
DA TRANI di Francesco Zanovello Da Trani Venisti Col treno; Anni oramai Molto lontani. Lasciavi a oriente Un "mare" di gente; Un olivo di quasi mille anni Lasciavi.....................lì a Trani.
NOTTURNA poi mi venne addosso la notte di quelle a stelle e finestre rotte. Digiuna cadde pure la mezza luna fra verghe, urina e vetro vuoto e larve ingoiava con alito a fiori d’asfalto diluendo parole e amore d’ancella in gola spezzò ogni stella già cadente mondana s’appese de drio la meridiana mia con ascelle pelose e labbra umettate bava sulla poesia colava (come di rana notturna puttana) pensai a un bruco di nostalgia ma era saliva d’ipocrisia. G. Nigretti da Derive di notte 2009/2010
da XENIA II di E. Montale La morte non ti riguardava. Anche i tuoi cani erano morti, anche il medico dei pazzi detto lo zio demente, anche tua madre e la sua ‘specialità’ di riso e rane, trionfo meneghino; e anche tuo padre che da una minieffigie mi sorveglia dal muro sera e mattina. Malgrado ciò la morte non ti riguardava. Ai funerali dovevo andare io, nascosto in un tassì restandone lontano per evitare lacrime e fastidi. E neppure t’importava la vita e le sue fiere di vanità e ingordigie e tanto meno le cancrene universali che trasformano gli uomini in lupi. Un tabula rasa; se non fosse che un punto c’era, per me incomprensibile, e questo punto ti riguardava.
Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida di E. Montale a K. Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida scorta per avventura tra le pietraie d'un greto, esiguo specchio in cui guardi un'ellera e i suoi corimbi; e su tutto l'abbraccio di un bianco cielo quieto. Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano, se dal tuo volto si esprime libera un'anima ingenua, vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua e recano il loro soffrire con sé come un talismano. Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie sommerge i crucci estrosi in un'ondata di calma, e che il tuo aspetto s'insinua nella memoria grigia schietto come la cima di una giovane palma...
Con questa coinvolgente iniziativa Alessandro Cabianca ci ha proposto di portare con noi un poeta guida, un poeta di riferimento…
Personalmente non è stata una facile scelta, almeno da un punto di vista cosciente, perché nella mia deriva poetica, più che ad un poeta guida, sento la vicinanza a diversi poeti italiani, in particolare:
Il Montale di Ossi di seppia – per la poetica del male di vivere
Il Quasimodo di Ed è subito sera – per la poetica della solitudine dell’uomo
O il Giudici di La vita in versi – per la poesia come necessità esistenziale
Ho qui con me la poesia di Quasimodo "Vento a Tindari". Poesia che racchiude in sé l’inquietudine, il dramma e le contraddizioni dell'uomo moderno.
La mia vicinanza al Quasimodo di Vento a Tindari è connessa anche, e non solo, al tema dello sradicamento dell'uomo, per la sua, e mia, personale condizione di esule volontario dal sud al nord Italia.
VENTO A TINDARI Tindari, mite ti so Fra larghi colli pensile sull’acque Delle isole dolci del dio, oggi m’assali e ti chini in cuore. Salgo vertici aerei precipizi, assorto al vento dei pini, e la brigata che lieve m’accompagna s’allontana nell’aria, onda di suoni e amore, e tu mi prendi da cui male mi trassi e paure d’ombre e di silenzi, rifugi di dolcezze un tempo assidue e morte d’anima A te ignota è la terra Ove ogni giorno affondo E segrete sillabe nutro: altra luce ti sfoglia sopra i vetri nella veste notturna, e gioia non mia riposa sul tuo grembo. Aspro è l’esilio, e la ricerca che chiudevo in te d’armonia oggi si muta in ansia precoce di morire; e ogni amore è schermo alla tristezza, tacito passo al buio dove mi hai posto amaro pane a rompere. Tindari serena torna; soave amico mi desta che mi sporga nel cielo da una rupe e io fingo timore a chi non sa che vento profondo m’ha cercato.
Con la poesia dell’uomo esule, dell’uomo fuori suolo, "Vento a Tindari", ho portato, con grande umiltà, la mia "È domenica", poesia del 2011 che fa parte della sezione Derive straniere della raccolta Amare derive.
Il tema è la classica passeggiata estiva dei tranesi (Trani è la mia città natale) nel giardino pubblico sul mare, che al sud chiamano Villa.
È DOMENICA e s’affolla d’ombre e genti la Villa – bell’anima antica verde a giuochi, a illusi amori fra falciate aiuole – una poesia di palme e lecci e pini e tamerici (germoglia un fiore di nostalgia?) in un angolo buio al cuore una luce di viali e fontanelle spingono famiglie e amorini e giovani mogli coi carrozzini e vecchi stanchi sui pesanti anni e a gesti a gridi di voci e cicale vanno tutti alle ringhiere di sale a veder l’aroma acerbo del mare (è un restare quel che m’assale?) e s’alza d’esilio una nebbia accanto all’essere mio non sfronda radici e in quel che ero oggi erro straniero.
Oggi l’esule, il vero e tragico uomo fuori suolo è il migrante… da Derive di carta del 2015 leggo "Gli umani", poesia scritta osservando uno stormo autunnale di rondini in volo
GLI UMANI Quando neri dall’innato alto andar via – sull’autunno aspro di vento maestro lontano – i migranti quieti colmano con grazie di nugoli tersi il riguardare di noi umani: senz’ali e già di terre neri su onde avverse e spini di ferro persi stanno gli umani che mai rimiriamo.
PERSONAE SEPARATAE di Eugenio Montale Come la scaglia d’oro che si spicca dal fondo oscuro e liquefatta cola nel corridoio dei carrubi ormai ischeletriti, così pure noi persone separate per lo sguardo d’un altro? E’ poca cosa la parola, poca cosa lo spazio in questi crudi noviluni annebbiati: ciò che manca, e che ci torce il cuore e qui m’attarda tra gli alberi ad attenderti, è un perduto senso, o il fuoco, se vuoi, che a terra stampi, figure parallele, ombre concordi, aste di un sol quadrante i nuovi tronchi delle radure e colmi anche le cave ceppaie, nido alle formiche. Troppo straziato è il bosco umano, troppo sorda quella voce perenne, troppo ansioso lo squarcio che si sbiocca sui nevati gioghi di Lunigiana. La tua forma passò di qui, si riposò sul riano tra le nasse atterrate, poi si sciolse come un sospiro, intorno – e ivi non era l’orror che fiotta, in te la luce ancora trovava luce, oggi non più che al giorno primo già annotta.
INVOLO Per amare derive a prode pure parole involo, ed anche per maree d’affranto: perchè – da scorie sture – alla Dolle un dì lemma d’incanto qui rifiorirà. Nel vento d'arselle da chiaro volo è ora il guardare verso l'assolo di spalle passare l'essere gabbiano in volo regale e tu a menar mano all'ala carnale.
MES PETITES AMOUREUSES di Arthur Rimbaud Un hydrolat lacrymal lave Les cieux vert-chou : Sous l'arbre tendronnier qui bave, Vos caoutchoucs Blancs de lunes particulières Aux pialats ronds, Entrechoquez vos genouillères Mes laiderons ! Nous nous aimions à cette époque, Bleu laideron ! On mangeait des oeufs à la coque Et du mouron ! Un soir, tu me sacras poète Blond laideron : Descends ici, que je te fouette En mon giron; J'ai dégueulé ta bandoline, Noir laideron ; Tu couperais ma mandoline Au fil du front. Pouah ! mes salives desséchées, Roux laideron Infectent encor les tranchées De ton sein rond ! Ô mes petites amoureuses, Que je vous hais ! Plaquez de fouffes douloureuses Vos tétons laids ! Piétinez mes vieilles terrines De sentiments; Hop donc ! Soyez-moi ballerines Pour un moment ! Vos omoplates se déboîtent, Ô mes amours ! Une étoile à vos reins qui boitent, Tournez vos tours ! Et c'est pourtant pour ces éclanches Que j'ai rimé ! Je voudrais vous casser les hanches D'avoir aimé ! Fade amas d'étoiles ratées, Comblez les coins ! − Vous crèverez en Dieu, bâtées D'ignobles soins ! Sous les lunes particulières Aux pialats ronds, Entrechoquez vos genouillères, Mes laiderons. LE MIE PICCOLE INNAMORATE Un idrolato lacrimale lava i cieli verde-cavolo: sotto l'albero gemmato che sbava, i vostri caucciù. Bianche di lune particolari dalle eminenze tonde, cozzate le vostre ginocchiere! mie bruttone! Ci amavamo a quei tempi, bruttona blu! mangiavamo uova alla coque e mangime! Una sera mi consacrasti poeta, bruttona bionda: vieni giù qua, che ti frusti sul mio grembo; Ho vomitato la tua brillantina, bruttona nera; tu taglieresti il mio mandolino al filo della fronte. Puah! le mie salive disseccate, bruttona rossa, infettano ancora le trincee del tuo seno tondo! Oh mie piccole innamorate, quanto vi odio! prendete a pugni dolorosi i vostri laidi tettoni! Calpestate le mie vecchie terrine di sentimento; - Hop là! siatemi ballerine per un momento!... Le vostre scapole si dislocano, Oh amori miei! una stella alle vostre reni che traballano. Ballate i vostri girotondi! E tuttavia è per costate simili che io ho rimato! Vorrei spezzarvi i fianchi per aver amato! Ammasso insulso di stelle fallite, riempite gli angoli! - Creperete in Dio, sotto il basto di ignobili cure! Sotto le lune particolari dalle eminenze tonde, cozzate le vostre ginocchiere, mie bruttone!
DAL MARE MUTO Ora che fra le onde non più ti porgo di stelle d’oro e miele il bel dono quel che spargo è solo questo suono: – di sassi senza memoria di sale – che dal mare muto e ora lontano ancora accanto si slarga piano all'eguale gorgo che non scorgo sullo scoglio dalle scorie scosso dove il naufragar serale albergo.
LA BICICLETTA di G. Pascoli Mi parve di scorgere un mare dorato di tremule messi. Un battito . . . Vidi un filare di neri cipressi. Mi parve di fendere il pianto d'un lungo corteo di dolore. Un palpito . . . M'erano accanto le nozze e l'amore. dlin . . . dlin . . . II Ancora echeggiavano i gridi dell'innominabile folla; che udivo stridire gli acrìdi su l'umida zolla. Mi disse parole sue brevi qualcuno che arava nel piano: tu, quando risposi, tenevi la falce alla mano. Io dissi un'alata parola, fuggevole vergine, a te; la intese una vecchia che sola parlava con sè. dlin . . . dlin . . . III Mia terra, mia labile strada, sei tu che trascorri o son io ? Che importa? Ch'io venga o tu vada, non è che un addio! Ma bello è quest'impeto d'ala, ma grata è l'ebbrezza del giorno. Pur dolce è il riposo . . . Già cala la notte: io ritorno. La piccola lampada brilla per mezzo all'oscura città. Più lenta la piccola squilla dà un palpito, e va. . . dlin... dlin...