sabato 1 ottobre 2016

poeta legge poeta



Poeta legge poeta – intervento di G. Nigretti

Con questa coinvolgente iniziativa Alessandro Cabianca ci ha proposto di portare con noi un poeta guida, un poeta di riferimento… 
Personalmente non è stata una facile scelta, almeno da un punto di vista cosciente, perché nella mia deriva poetica, più che ad un poeta guida, sento la vicinanza a diversi poeti italiani, in particolare:

Il Montale di Ossi di seppia  – per la poetica del male di vivere
Il Quasimodo di Ed è subito sera – per la poetica della solitudine dell’uomo
O il Giudici di La vita in versi – per la poesia come necessità esistenziale

Ho qui con me la poesia di Quasimodo "Vento a Tindari". Poesia che racchiude in sé l’inquietudine, il dramma e le contraddizioni dell'uomo moderno.
La mia vicinanza al Quasimodo di Vento a Tindari è connessa anche, e non solo, al tema dello sradicamento dell'uomo, per la sua, e mia, personale condizione di esule volontario dal sud al nord Italia.


VENTO A TINDARI

Tindari, mite ti so

Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,

assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima

A te ignota è la terra

Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,

e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;

soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.



Con la poesia dell’uomo esule, dell’uomo fuori suolo, "Vento a Tindari", ho portato, con grande umiltà, la mia "È domenica", poesia del 2011 che fa parte della sezione Derive straniere della raccolta Amare derive. 
Il tema è la classica passeggiata estiva dei tranesi (Trani è la mia città natale) nel giardino pubblico sul mare, che al sud chiamano Villa.


È DOMENICA

e s’affolla d’ombre e genti 

la Villa – bell’anima antica
verde a giuochi, a illusi amori
fra falciate aiuole – una poesia
di palme e lecci e pini e tamerici
(germoglia un fiore di nostalgia?)

in un angolo buio al cuore

una luce di viali e fontanelle
spingono famiglie e amorini
e giovani mogli coi carrozzini
e vecchi stanchi sui pesanti anni
e a gesti a gridi di voci e cicale

vanno tutti alle ringhiere di sale

a veder l’aroma acerbo del mare
(è un restare quel che m’assale?)
e s’alza d’esilio una nebbia accanto
all’essere mio non sfronda radici 
e in quel che ero oggi erro straniero.



Oggi l’esule, il vero e tragico uomo fuori suolo è il migrante… da Derive di carta del 2015 leggo "Gli umani", poesia scritta osservando uno stormo autunnale di rondini in volo


GLI UMANI

Quando neri dall’innato alto

andar via – sull’autunno aspro
di vento maestro lontano –
i migranti quieti colmano
con grazie di nugoli tersi
il riguardare di noi umani:
senz’ali e già di terre neri

su onde avverse e spini di ferro persi

stanno gli umani che mai rimiriamo.


mercoledì 7 settembre 2016

ombre concordi


PERSONAE SEPARATAE di Eugenio Montale

Come la scaglia d’oro che si spicca

dal fondo oscuro e liquefatta cola
nel corridoio dei carrubi ormai
ischeletriti, così pure noi
persone separate per lo sguardo
d’un altro? E’ poca cosa la parola,
poca cosa lo spazio in questi crudi
noviluni annebbiati: ciò che manca,
e che ci torce il cuore e qui m’attarda
tra gli alberi ad attenderti, è un perduto
senso, o il fuoco, se vuoi, che a terra stampi,
figure parallele, ombre concordi,
aste di un sol quadrante i nuovi tronchi
delle radure e colmi anche le cave
ceppaie, nido alle formiche. Troppo
straziato è il bosco umano, troppo sorda
quella voce perenne, troppo ansioso
lo squarcio che si sbiocca sui nevati
gioghi di Lunigiana. La tua forma
passò di qui, si riposò sul riano
tra le nasse atterrate, poi si sciolse
come un sospiro, intorno – e ivi non era
l’orror che fiotta, in te la luce ancora
trovava luce, oggi non più che al giorno
primo già annotta.

giovedì 18 agosto 2016

prode pure

INVOLO

Per amare derive a prode pure

parole involo, ed anche per maree
d’affranto: perchè – da scorie sture
alla Dolle un dì lemma d’incanto
qui rifiorirà. Nel vento d'arselle
da chiaro volo è ora il guardare
verso l'assolo di spalle passare

l'essere gabbiano in volo regale

e tu a menar mano all'ala carnale.

G. Nigretti da Derive maree 2016

lunedì 8 agosto 2016

stelle fallite


MES PETITES AMOUREUSES  di Arthur Rimbaud

Un hydrolat lacrymal lave
     Les cieux vert-chou :
Sous l'arbre tendronnier qui bave,
     Vos caoutchoucs

Blancs de lunes particulières
     Aux pialats ronds,
Entrechoquez vos genouillères
     Mes laiderons !

Nous nous aimions à cette époque,
     Bleu laideron !
On mangeait des oeufs à la coque
     Et du mouron !

Un soir, tu me sacras poète
     Blond laideron :
Descends ici, que je te fouette
     En mon giron;

J'ai dégueulé ta bandoline,
     Noir laideron ;
Tu couperais ma mandoline
     Au fil du front.

Pouah ! mes salives desséchées,
     Roux laideron
Infectent encor les tranchées
     De ton sein rond !

Ô mes petites amoureuses,
     Que je vous hais !
Plaquez de fouffes douloureuses
     Vos tétons laids !

Piétinez mes vieilles terrines
     De sentiments;
Hop donc ! Soyez-moi ballerines
     Pour un moment !

Vos omoplates se déboîtent,
     Ô mes amours !
Une étoile à vos reins qui boitent,
     Tournez vos tours !

Et c'est pourtant pour ces éclanches
     Que j'ai rimé !
Je voudrais vous casser les hanches
     D'avoir aimé !

Fade amas d'étoiles ratées,
     Comblez les coins !
− Vous crèverez en Dieu, bâtées
     D'ignobles soins !

Sous les lunes particulières
     Aux pialats ronds,
Entrechoquez vos genouillères,
     Mes laiderons.


LE MIE PICCOLE INNAMORATE

Un idrolato lacrimale lava
i cieli verde-cavolo:
sotto l'albero gemmato che sbava,
i vostri caucciù.

Bianche di lune particolari
dalle eminenze tonde,
cozzate le vostre ginocchiere!
mie bruttone!

Ci amavamo a quei tempi,
bruttona blu!
mangiavamo uova alla coque
e mangime!

Una sera mi consacrasti poeta,
bruttona bionda:
vieni giù qua, che ti frusti
sul mio grembo;

Ho vomitato la tua brillantina,
bruttona nera;
tu taglieresti il mio mandolino
al filo della fronte.

Puah! le mie salive disseccate,
bruttona rossa,
infettano ancora le trincee
del tuo seno tondo!

Oh mie piccole innamorate,
quanto vi odio!
prendete a pugni dolorosi
i vostri laidi tettoni!

Calpestate le mie vecchie terrine
di sentimento;
- Hop là! siatemi ballerine
per un momento!...

Le vostre scapole si dislocano,
Oh amori miei!
una stella alle vostre reni che traballano.
Ballate i vostri girotondi!

E tuttavia è per costate simili
che io ho rimato!
Vorrei spezzarvi i fianchi
per aver amato!

Ammasso insulso di stelle fallite,
riempite gli angoli!
- Creperete in Dio, sotto il basto
di ignobili cure!

Sotto le lune particolari
dalle eminenze tonde,
cozzate le vostre ginocchiere,
mie bruttone! 

sabato 30 luglio 2016

d'oro e miele



DAL MARE MUTO

Ora che fra le onde non più ti porgo
di stelle d’oro e miele il bel dono
quel che spargo è solo questo suono:
di sassi senza memoria di sale
che dal mare muto e ora lontano
ancora accanto si slarga piano
all'eguale gorgo che non scorgo

sullo scoglio dalle scorie scosso 
dove il naufragar serale albergo.

G. Nigretti da Derive di mare 2016

martedì 12 luglio 2016

un filare


LA BICICLETTA di G. Pascoli

Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule messi.
Un battito . . . Vidi un filare
di neri cipressi.

Mi parve di fendere il pianto
d'un lungo corteo di dolore.
Un palpito . . . M'erano accanto
le nozze e l'amore.
dlin . . . dlin . . .

II
Ancora echeggiavano i gridi
dell'innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l'umida zolla.

Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.

Io dissi un'alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sè.
dlin . . . dlin . . .

III
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io ?
Che importa? Ch'io venga o tu vada,
non è che un addio!

Ma bello è quest'impeto d'ala,
ma grata è l'ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo . . . Già cala
la notte: io ritorno.

La piccola lampada brilla
per mezzo all'oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va. . .
dlin... dlin...

giovedì 30 giugno 2016

due sirene


L'ULTIMO VIAGGIO - LE SIRENE di G. Pascoli

Indi più lungi navigò, più triste.
E stando a poppa il vecchio Eroe guardava
scuro verso la terra de’ Ciclopi,
e vide dal cocuzzolo selvaggio
del monte, che in disparte era degli altri,
levarsi su nel roseo cielo un fumo,
tenue, leggiero, quale esce su l’alba
dal fuoco che al pastore arse la notte.
Ma i remiganti curvi sopra i remi
vedeano, sì, nel violaceo mare
lunghe tremare l’ombre dei Ciclopi
fermi sul lido come ispidi monti.
E il cuore intanto ad Odisseo vegliardo
squittiva dentro, come cane in sogno:
     Il mio sogno non era altro che sogno;
e vento e fumo. Ma sol buono è il vero.
     E gli sovvenne delle due Sirene.
C’era un prato di fiori in mezzo al mare.
Nella gran calma le ascoltò cantare:
     Ferma la nave! Odi le due Sirene
ch’hanno la voce come è dolce il miele;
ché niuno passa su la nave nera
che non si fermi ad ascoltarci appena,
e non ci ascolta, che non goda al canto,
né se ne va senza saper più tanto:
ché noi sappiamo tutto quanto avviene
sopra la terra dove è tanta gente!
     Gli sovveniva, e ripensò che Circe
gl’invidiasse ciò che solo è bello:
saper le cose. E ciò dovea la Maga
dalle molt’erbe, in mezzo alle sue belve.
Ma l’uomo eretto, ch’ha il pensier dal cielo,
dovea fermarsi, udire, anche se l’ossa
aveano poi da biancheggiar nel prato,
e raggrinzarsi intorno lor la pelle.
Passare ei non doveva oltre, se anco
gli si vietava riveder la moglie
e il caro figlio e la sua patria terra.
     E ai vecchi curvi il vecchio Eroe parlò:
Uomini, andiamo a ciò che solo è bene:
a udire il canto delle due Sirene.
Io voglio udirlo, eretto su la nave,
né già legato con le funi ignave:
libero! alzando su la ciurma anela
la testa bianca come bianca vela;
e tutto quanto nella terra avviene
saper dal labbro delle due Sirene.
     Disse, e ne punse ai remiganti il cuore,
che seduti coi remi battean l’acqua,
saper volendo ciò che avviene in terra:
se avea fruttato la sassosa vigna,
se la vacca avea fatto, se il vicino
aveva d’orzo più raccolto o meno,
e che facea la fida moglie allora,
se andava al fonte, se filava in casa.

venerdì 24 giugno 2016

a poco a poco


LA SERA DEL DI’ DI FESTA di G. Leopardi

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e questa sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia,
già tace ogni sentiero, e pei balconi
rara traluce la notturna lampa:
tu dormi, ché t’accolse agevol sonno
nelle tue chete stanze; e non ti morde
cura nessuna; e già non sai né pensi
quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
appare in vista, a salutar m’affaccio,
e l’antica natura onnipossente,
che mi fece all’affanno. – A te la speme
nego, mi disse, anche la speme,; e d’altro
non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. –
Questo dì fu solenne; or da’ trastulli
prendi riposo; e forse ti rimembra
in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
piacquero a te: non io, non già ch’io speri,
al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
quanto a viver mi resti, e qui per terra
mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
in così verde etate! Ahi, per la via
odo non lunghe il solitario canto
dell’artigian, che riede a tarda notte,
dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
e fieramente mi stringe il core,
a pensar come tutto al mondo passa,
e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
il dì festivo, ed al festivo il giorno
volgar succede, e se ne porta il tempo
ogni umano accidente. Or dov’è il suono
di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido
de’ nostri avi famosi, e il grande impero
di quella Roma, e l’armi e il fragorìo
che n’andò per la terra e l’oceàno?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
bramosamente il dì festivo, or poscia
ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
premea le piume; ed alla tarda notte
un canto che s’udia per li sentieri
lontanando morire a poco a poco
già similmente mi stringeva il core.

venerdì 17 giugno 2016

vespro chiaro


17 GIUGNO

Squassavano rondoni neri
le terrazze bianche in giro
giocando il vespro chiaro
sulla Chjazze du Pèsce

i pescivendoli a voci rotte
pescavano gli ultimi omini
smenando belle sode sardelle e
le ultime audaci seppie novelle.

In punta di piedi sorrisi di fiato
sul limpido vetro disegnandoli
aspettavo il sempre tuo buono
dall’ombra in piazza di ritorno

senza fine atteso era già da quelli
che vendevi con felini e pecorini.
Eri il Pane Antico – sulla bianca terrazza
delle serene notti di colorblu lontananza.

Poi in nero rondone muto mutò
e in giro agile su ali raggiate girava
e per viuzze e palazzi bolli e serti portavi
di nere cozze pescate con corta lama aperte

e crude mangiate in quell’ultimo nostro incontro
primo negli occhi tuoi buoni e a nera morte umidi
e in questo stretto addio padre filiale m’affacciavo
e liberi canarini canterini volavano – dalla terrazza

oggi a nero asfaltata già dietro opachi vetri spenti
m’addormo, fra le ombre vuote di vino o di mute
passanti sotto, e sotto crolli le terrazze son crollate
disfatte da sigillate inferriate di bluasfalto ghiacciate.


(e polvere calida sfuma
il lontano corpo gravido
e dipinge i suoi lisci occhi neri
e veri e mai indiani e padani
e oggi la rimpiango
dentro il fango già rappreso ieri
colle ultime perle vere
che in socchiusi palmi accolse)


E il rondone nero andò – e alto veleggia ancora
e l’inferriata salda iniziò di serti secchi a sfiorire

e venne Pandora con Caino e tutta gramigna seminò
e venne Brillina con sacchi e velli e donò un regalino
e venne Dolorina con stille e stalle e lanciò un sassino
e venne Nanina con tacchi e santi e volle il librettino
e venne Ilioina con lingue e pianti e un pelino lasciò 

e giunse Giugno con rovescio secco
e incerato bluvecchio addosso porta
e commosso indosso il sommo vuoto
dell’annoso giorno di anni già stecco.

G. Nigretti da Derive eretiche 2009

sabato 11 giugno 2016

passate cose


ALLA LUNA di Giacomo Leopardi

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l'anno, sovra questo colle
Io venia pien d'angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l'etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l'affanno duri! 

lunedì 6 giugno 2016

echi



Lettura a più voci da Echi Poema in Progress in occasione de Il Respiro della Terra - M'editare, Venezia
ECHI POEMA IN PROGRESS

poesie lette da ECHI - POEMA IN PROGRESS

Sono specchi ed echi, sono labirinti
di parole, forme concluse ed ombre,
scritture a margine e infiniti
intrecci, di segno in segno,
attraversamenti, o di sogno in segno;
mostrano il passaggio degli sconosciuti,
i transiti delle muse, poemi provvisori,
inconclusi, unici o replicanti,
percorsi dell'acqua e del fuoco
A. C.
E, no, non ancora domani forse
con l’ombra che sale sul muro
intrecci di convolvolo
o more protette da spine
ma piccole, oblique
che non fanno poi male
basta solo un po’ di attenzione
e la gonna di Jane, fiore d’ibisco
aperto
L. C.
Strane ombre oltre il solco
stanno allineate
sagome scomposte
sul limitare della sera
sono vigne che, Maritate,
            ora a dolci pioppi
            ora a nodosi aceri,
si avvinghiano a fusti e rami
            come morbose Amanti
F. Z.
Il vascello del Ricordo è già affondato
                                      e la Memoria
                  vola lontana come un’Eco
                        nel rimbalzo del cuore
                        che ripete la Storia….Ecco
                  già l’Eterno Ritorno
                                (ecco l’eco del giorno)
              in quest’età di ricchissima penuria.
               E lo Specchio non è più spezzato
G. F.
Nel paese delle farfalle
c'è Caterina, la farfallina blu.
Vola felice nei prati in fiore,
succhia il nettare un po' qua,
un po' là, serena, dall'Alba al Tramonto,
poi, alla fine della sua primavera,
in un battito d'ali si dissolve,
lasciando in una leggiadra Eco,
il ricordo della sua bellezza
AM. B.
Non ti voglio genere né specie né ordine né philum né altro
voglio solo sentirti ripetere che sei e l’altro tu
che mi ritorna indietro libero
dalla polvere, anche se lo sei e ritornerai
nella polvere, ma ora che vivi non importa:
la tua famiglia è sempre la stessa ed è la terra
che ti chiama al mattino fino a sera.
          Rispondi ti prego non credere che basti
          percorrere le tue vie e dirti specie
G. S.
E sulla pelle straniere di luce
sono false lune in falso rosa
spuntano - fra fondi riflessi
di vita - lo sguardo muto
come paglia infiamma stinta
memoria - nello specchio porta
d’inganni voce e di nome un peso
di anni pesanti a pelle di spalle
addossa ardenti panni
G. N.
Di ombre com'era verde il fiume
ieri – di aria, di foglie, di ninfe
un respirare intorno copriva
la memoria, le acque sfogliate
su parole fluivano lontano
in alto, la sera era quasi sera...
Oggi sulla terra nera – di lèmuri
rumori e di superbia colma –
torna la trebbia a sfregiar la sera
G. N.
Tutto è stato dimenticato
l’argento dell’ulivo trema
davanti alle ruspe
gli asili si son fatti lupanari
i pubblici uffici covi di briganti
le case mattatoi
inaridite le sorgenti scorre sangue
a cui quelli si abbeverano
eppure noi ricordiamo
A. B.
Ogni cosa il tempo muta in pietra,
un pesce, un albero, una candida fanciulla
che oggi ti sorride e vola via
mentre hai solo la tua ombra a compagnia,
che non diventa pietra, né nuvola,
né niente, resta lo specchio
che esiste finché esisti e così sia.
Non mutarti in pietra, vecchio, sta'
"Formica solitaria d'un formicaio distrutto"!
A. C.
Nel lato della roccia ricorda
che sei già stato,
un inizio d'acqua
e poi nell'aria il primo volo,
dopo che entrasti dal mare alla terra,
troppo stretta per i tuoi occhi,
e da qui all'aria e poi ancora,
fino a chiamarti nessuno
perché nessuno ti trovasse
G. S.

A.C. Alessandro Cabianca
L.G. Lucia Guidorizzi
L.C. Luisa Contarello
F.Z.Francesco Zanovello
G.F. Giuseppe Ferraboschi
AM.B. Anna Maria Bottin
G.S. Giovanni Sato
G.N. Giuseppe Nigretti
A.B. Antonella Barina


Giuseppe Nigretti - Presentazione di Echi Poema in Progres

martedì 17 maggio 2016

pace

Giornata di Poesia e Cultura italo-araba per la Pace
intervento di Giuseppe Nigretti
Chiesa di S. Caterina Padova 13 maggio 2016

"L'onda" da Poesie andaluse
traduzione in arabo di Salah Mahameed



giovedì 28 aprile 2016

dall'alto

GLI ALBERI di Yves Bonnefoy

Guardavamo i nostri alberi, era dall’alto
della terrazza che ci fu cara, il sole
si teneva vicino noi quella volta ancora
ma ritirandosi, ospite silenzioso
sulla soglia della casa in rovina,
che gli lasciavamo immensa, illuminata.

Vedi, ti dicevo, fa scivolare sulla pietra
disuguale, incomprensibile, dove siamo appoggiati,
l’ombra delle nostre spalle confuse,
quella dei mandorli vicini
e quella dell’alto dei muri che si unisce alle altre,
bucata, barca bruciata, prua che va alla deriva
come un sovrappiù di sogno o di fumo.

Ma laggiù le querce sono immobili,
neppure l’ombra si muove, nella luce,
sono le rive del tempo che scorre qui dove noi siamo
e il suolo è inavvicinabile tanto è rapida
la corrente gonfia di speranza della morte.

Abbiamo guardato gli alberi un’ora intera.
Il sole aspettava tra le pietre
poi distese pietosamente
verso gli alberi, più giù nel burrone,
le nostre ombre che sembravano raggiungerli
come allungando le braccia si può toccare,
a volte, nella distanza tra due persone
un istante del sogno dell’altra, che non ha fine.

lunedì 18 aprile 2016

cavità


SILENTI MASSI

Sul quotidiano bianco piano
di marmo (dove pure le acque
oblique vanno) sempre lì stanno
messe da mani senza più carni
l’anfore memorie di lieti anni;
e lì son come dei silenti massi:
hanno le cavità aperte uguali

a quelle orali dei muti sepolti 
a l'urne carte di pietrami e carne.

G. Nigretti da Derive di pietra 2016

domenica 3 aprile 2016

oblio

Padova 2 aprile 2016, Zubar, Giornata Mondiale della Poesia - Nigretti legge
DI OBLIO

tutta gruma sta la cera
ben bagnata è la cima
sopra l’onda da prora
voci di nome memoria

l’andare via dirada
da nere chine di vita
le colline non più supine
su quest’errante acqua bianca

una quiete pesante discende
di oblio gli orizzonti dirama
verso un domani di passato
a vele strappate andiamo.

G. Nigretti da Derive quiete 2010/11