A SCORDATE DISTANZE
Spesso flottante erra fermo
a musicali percorsi il pensiero
verso l’andante morgana al piano
forte – nel vano madrigale ferma
mano afferra: come se fosse chioma
di liscia chimera ai versi l’arrovescia
e da sirena carne si spoglia
nel sovrano amore di carta
nel silenzio morbido del foglio
la brama liquefatta naufraga
lontana nell’intonata stanza
di quiete sonante lievita
e d’armonie dolci scodella
calde fragranze musicali
mentre colmo la dissonante distanza
con le rimette di queste mute stanze.
G. Nigretti da Derive deserte 1994/01
VIA VELASCA di L. Sinisgalli
Il calpestìo di tanti anni
L’ha quasi affondata, la via
Incredibilmente si è stretta.
Questa è l’ora mia, la mia ora diletta.
Io, ricordo la sera che alla fioca
Luce si spense ogni rumore, un grido
Disse il mio nome come in sogno e sparve.
La via s’incurva, sgocciola
Il giorno dalle cime dei tetti:
Quest’ora dolce suona nel petto.
Non è che una larva restìa
La luce, un barlume: entro la boccia
Di vetro un pesce s’illumina.
NEL GRUMO
è forte di notte il rumore
del fumo di stelle cadenti
– che ritornano morte in mano –
senza voce di luce e né cenere
nel grumo dei muti frammenti
già d’umano fratture spente
di fervore che non bruciamo
il dolore spesso noi siamo
in un altro che non odiamo.
G. Nigretti da Derive di luce 2017
PER NOI
ora che il mare è un vuoto stare
in esilio il bel giglio qui muore
bianco l’immoto sole muto sale
– dove le nuvole vanno a danzare –
in attesa del diluvio universale:
già speranza di remoto stupore
per noi che vogliamo sol vedere
da spume vere nel vento tornare
la dea che su carta portò chimere.
G. Nigretti da Derive di luce 2017
GIORNI DI PAROLE
a pezzi di passato giacciono
nel biancastro pelago liquido
cercavano (un lemma di vita?)
in un fremito d’ali straniero
l’ultima voce di rosa sbiadita
è già secca come questa carta
bianca d’ossa nel sole pesante
di grassa maceria e vuote ore
la memoria su ci smena parole
di questo lèmure tempo
che a voragine ci aliena
l’anima?
– un venticello di parole morte.
G. Nigretti da Derive straniere 2011
IL DORMIENTE NELLA VALLE di A. Rimbaud
È un buco verde dove canta un fiume
Appendendo follemente all'erba i suoi stracci
D'argento; dove il sole, dalla fiera montagna
Risplende: è una piccola valle spumeggiante di raggi.
Un giovane soldato, la bocca aperta, il capo nudo,
E la nuca immersa nel fresco nasturzio azzurro
Dorme; è steso nell'erba, sotto le nuvole,
Pallido nel suo verde letto dove la luce piove.
Ha i piedi fra i gladioli, dorme. Sorridendo come
Sorriderebbe un bimbo malato, fa una dormita:
Natura, cullalo tiepidamente: ha freddo.
I profumi non fanno fremere le sue narici;
Lui dorme nel sole, la mano sul petto
Tranquillo. Ha due buchi rossi sul lato destro.
UNA CAROGNA di C. Baudelaire
Ricordi, anima mia, quel che vedemmo
un bel mattino dolce d'estate
dietro quel sentiero? una carogna infame,
su un letto sparso di sassi:
zampe all'aria, come una laida donna,
ardente e trasudante veleni,
spalancava il ventre indifferente e cinico
tra tante esalazioni.
Batteva il sole su quel putridume
come per cuocerlo a puntino,
e ridare così centuplicato alla Natura
quel che lei aveva messo insieme.
E il cielo guardava quella gran carcassa
che si dilatava come un fiore.
Che fetore immondo! Temevi
di svenire là sull'erba.
Come ronzavano le mosche su quel putrido ventre!
e come sbucavano a battaglioni
nere larve! colavano come denso liquido
lungo quei brandelli vivi.
Scendevano e salivano come un’onda,
o brulicando s’avventavano;
sembrava che quel corpo, gonfiato da un respiro vago,
si moltiplicasse in tante vite.
Di lì sorgeva una strana musica
come l’acqua corrente e il vento,
o il grano che agita e rigira ritmicamente
nel suo ventilabro chi lo vaglia.
Le forme si cancellavano riducendosi a puro sogno:
schizzo, lento a compiersi,
sulla tela dimenticata che l’artista
condurrà a termine a memoria.
Dietro le rocce una inquieta cagna
ci guardava con irato occhio,
spiando il momento di riprendere allo scheletro
i brandelli che erano rimasti.
-E tu? Anche tu un giorno sarai quel letamaio,
quella peste orrenda,
stella dei miei occhi, sole della mia natura,
tu, mio angelo e mia passione!
Sì, anche tu sarai così, regina delle grazie,
dopo gli estremi sacramenti,
quando sotto l’erba e le piante grasse
ammuffirai tra le ossa.
E allora, mia bellezza, di’ pure ai vermi,
che ti mangeranno di baci,
che ho conservato la forma e la divina essenza
dei miei amori decomposti!
LE GRANDI NOTTI D'ESTATE di A. Gatto
Le grandi notti d’estate
che nulla muove oltre il chiaro
filtro dei baci, il tuo volto
un sogno nelle mie mani.
Lontana come i tuoi occhi
tu sei venuta dal mare,
dal vento che pare l’anima.
E baci perdutamente
sino a che l’arida bocca
come la notte è dischiusa,
portata via dal suo soffio.
Tu vivi allora, tu vivi,
il sogno ch’esisti è vero.
Da quanto t’ho cercata.
Ti stringo per dirti che i sogni
son belli come il tuo volto,
lontani come i tuoi occhi.
E il bacio che cerco è l’anima.
IN LIMINE di E. Montale
Godi se il vento ch’entra nel pomario
vi rimena l’ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquario.
Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell’eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.
Un rovello è di qua dall’erto muro.
Se procedi t’imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, – ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…
PESCATORE D’INGANNI
Di notte sillabo scogliere
dove le voci s’infrangono
spargo di noi il pelago piano e
squame di colmo iato insacco
sul rigo fiacco di carta e pelle
da lemmi all’infinito affiorano
abbagli e canti di lenze donzelle
già sveglio da luoghi di pelago
mi meno – fatto gabbiano veleggio
su apice astrale di segno morgano
verbale vertigine prueggio
lontano – su vocali sirene
verso predicato d’uragano.
G. Nigretti da Derive deserte 1994/01
A VISO DISTESO
Noi che come i morti viviamo
in un mondo di notte strano e
senza dubbio altero pensiamo
che sia quello più del dì il vero
sperando poi di ritrovarlo intero
– come la mela che in eden seduce –
dove l’innocente eva è la mano:
che scende e spenge la luce letale
a viso disteso in sogno immortale.
G. Nigretti da Derive di luce 2017
IL FUOCO E IL BUIO di E. Montale
Qualche volta la polvere da sparo
non prende fuoco per umidità,
altre volte s'accende senza il fiammifero
o l'acciarino.
Basterebbe il tascabile briquet
se ci fosse una goccia di benzina.
E infine non occorre fuoco affatto,
anzi un buon sottozero tiene a freno
la tediosa bisava, l'Ispirazione.
Non era troppo arzilla giorni fa
ma incerottava bene le sue rughe.
Ora pare nascosta tra le pieghe
della tenda e ha vergogna di se stessa.
Troppe volte ha mentito, ora può scendere
sulla pagina il buio il vuoto il niente.
Di questo puoi fidarti amico scriba.
Puoi credere nel buio quando la luce mente.
STANZE di E. Montale
Ricerco invano il punto onde si mosse
il sangue che ti nutre, interminato
respingersi di cerchi oltre lo spazio
breve dei giorni umani,
che ti rese presente in uno strazio
d’agonie che non sai, viva in un putre
padule d’astro inabissato; ed ora
è linfa che disegna le tue mani,
ti batte ai polsi inavvertita e il volto
t’infiamma o discolora.
Pur la rete minuta dei tuoi nervi
rammenta un poco questo suo viaggio
e se gli occhi ti scopro li consuma
un fervore coperto da un passaggio
turbinoso di spuma ch’or s’infitta
ora si frange, e tu lo senti ai rombi
delle tempie vanir nella tua vita
come si rompe a volte nel silenzio
d’una piazza assopita
un volo strepitoso di colombi.
In te converge, ignara, una raggèra
di fili; e certo alcuno d’essi apparve
ad altri: e fu chi abbrividì la sera
percosso da una candida ala in fuga,
e fu chi vide vagabonde larve
dove altri scorse fanciullette a sciami,
o scoperse, qual lampo che dirami,
nel sereno una ruga e l’urto delle
leve del mondo apparse da uno strappo
dell’azzurro l’avvolse, lamentoso.
In te m’appare un’ultima corolla
di cenere leggera che non dura
ma sfioccata precipita. Voluta,
disvoluta è così la tua natura.
Tocchi il segno, travàlichi. Oh il ronzìo
dell’ arco ch’è scoccato, il solco che ara
il flutto e si rinchiude! Ed ora sale
l’ultima bolla in su. La dannazione
è forse questa vaneggiante amara
oscurità che scende su chi resta.
CON QUESTO NOME di V. Bodini
Amore, cosa chiamo con questo nome
io non sono più certo di sapere.
Se ricerco nel fondo ove s'immerse
il tuo quieto naufragio,
fra i denti degli squali, di quelle sabbie gelosi,
presto riemerge il mio pensiero nudo
al visibile giorno,
con le braccia ferite e qualche filo
d'alga sul corpo, o i ciechi segni d'una medusa.
Ma a sera, se col passo delle fiere
che convengono caute presso lo stagno,
fra gli azzurri veleni che mesce il cielo,
in me come a tremante vetro s'affacciano
le antiche colpe, o errori, o la presente
solitudine, oh allora, come sei
tu stranamente viva sulle mie labbra,
e che stupiti altari la mia voce
odono che si scolpa nelle tenebre
a mia insaputa: O amore, tu sapessi…
D’ANDATO MARZO
è qui passato un nugolo di ore e
di foglie morte da quel passare
– la luce d’assorte soglie –:
con lo sguardo dell’andare, o
con ferma parola di stare
in spenta forra ad aspettare
d’andato marzo primavera
e quel che ora ci resta è la sola
poesiola, per un dì che s’invola.
G. Nigretti da Derive di luce 2017