sul pelago confine e senza un lemma
è qui giunto e svelto sta già andando
per voce cercare in valle d’incanto o
su terre dove il sole non è spento
dal muto morire del giorno stanco
– quando dall’ade l’inverata appare –
a chi da naufrago torna a maree:
così è l’orfeo che a derive porta
parole pesanti su barche di carta.
G. Nigretti da Sul confine pesante 2018
La poesia DAL MUTO MORIRE è una summa nella quale convergono i temi e i motivi che permeano la produzione di Nigretti. Sono presenti il naufragio, il dolore, la perdita, riletti con la lente del mito di Orfeo, che si intrecciano con l’aspirazione alla poesia, il cui slancio, salvifico, è rifratto nell’impalpabile, sfuggente e irrisoria, parola di carta.
La lirica ci porta ai confini estremi del mare, dove il naufrago è giunto, solo, atterrito e muto, dopo aver lottato con le insidie del mare periglioso. Egli subito abbandona l’onda crestata di schiume paurose e posa lo sguardo su terre sconosciute, su paesaggi inabitati dai quali risalire a orme di vita, e decifrare una rotta da immaginari portolani. Andare “su terre dove il sole non è spento” è alleviare la stanchezza mortale dell’urto impari con gli elementi, la paura, il senso della fine.
Il suo viaggio è come quello di Orfeo, che attraversa il silenzio degli inferi per riportare alla luce la parola che salva.
Ma egli non trova che l’ombra del vero e il silente simulacro di “lei così amata”, che ormai ha lasciato per sempre le dimensioni umane del tempo e del sentimento (Ormai non era più la donna bionda… , Rilke). Il suo ritorno nell’ade è per Orfeo varcare il limite del dolore e del pianto perenne, condannato, senza amore, a una “vita vicaria”, insondabile destino toccato in sorte all’uomo.
Simile alla parabola enunciata nel mito è l’esperienza del poeta: con un carico di parole divenute “pesanti”, su un vascello fantasma, il naufrago torna alle derive sconfinate della voce di carta.
E la voce è l’anima (Aristotele, De anima) che chiede salvezza.
Ornella Cazzador