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mercoledì 10 giugno 2020

di sirena carne


A SCORDATE DISTANZE

spesso flottante erra fermo 
su percorsi musicali il pensiero

verso l’andante morgana al piano
forte nel vano madrigale ferma 
mano afferra e come se fosse chioma
di liscia chimera ai versi l’arrovescia

e di sirena carne si spoglia
nel sovrano amore di carta
nel silenzio morbido del foglio
la brama liquefatta naufraga

lontana nella stanza intonata 
di quiete sonante lievita e
con soavi armonie colora
le caste fragranze musicali 

mentre colmo la dissonante distanza
con le rimette di queste mute stanze.

G. Nigretti da Sul deserto convesso 1994/2001

domenica 17 maggio 2020

senza voce


da LA PIETÀ  di Giuseppe Ungaretti

Sono un uomo ferito.

E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L’uomo che è solo con sé.

Non ho che superbia e bontà.

E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.

Ma per essi sto in pena.
Non sarei degno di tornare in me?

Ho popolato di nomi il silenzio.

Ho fatto a pezzi cuore e mente
Per cadere in servitù di parole?

Regno sopra fantasmi.

O foglie secche,
Anima portata qua e là…

No, odio il vento e la sua voce
Di bestia immemorabile.

Dio, coloro che t’implorano
Non ti conoscono più che di nome?

M’hai discacciato dalla vita.

Mi discaccerai dalla morte?

Forse l’uomo è anche indegno di sperare.

Anche la fonte del rimorso è secca?

Il peccato che importa,
Se alla purezza non conduce più.

La carne si ricorda appena
Che una volta fu forte.
È folle e usata, l’anima.

Dio guarda la nostra debolezza.

Vorremmo una certezza.

Di noi nemmeno più ridi?

E compiangici dunque, crudeltà.

Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore.

Una traccia mostraci di giustizia.

La tua legge qual è?

Fulmina le mie povere emozioni,
Liberami dall’inquietudine.

Sono stanco di urlare senza voce.

domenica 12 aprile 2020

languide colline


AL MONDO ANDATO

quando l’aedo sole a sguardo lieve
di caldo canto con mano di miele 
sul velo del già ridente bel fiore 
colto ieri fra le languide colline – 
e del molle aprile a rive risale 
e con sangue di natura discende
è del cantore la pecca maggiore: 

perché sta qui fingendo alto fervore 
ed è lui al mondo andato il morente.

G. Nigretti da dello sguardo viandante, 2020

mercoledì 25 marzo 2020

che cosa vuoi?

Hermes, Euridice e Orfeo - Museo archeologico nazionale di Napoli

PER L’ANDATO AMORE

fu lei quella che a lumi velata
nel fatuo umidore dell’albore
su vaga orma e con fioca mano
per l’andato amore lì mi voltò:
ed io volto a quel muto bel volto
a capo chino e con chiusa di mano
già franto le chiesi: che cosa vuoi?

e quell’accanto dell’ombra compagno
con curva mano disse: ” il buio vano”.

G. Nigretti da dello sguardo viandante, 2020


Poesia molto bella, che reinterpreta il mito di Orfeo, spingendo lo sguardo sul destino, l’amore e la morte.

Struttura compositiva - I primi 3 vv. inizianti con la bella inversione Fu Lei centrano la figura di Euridice, che nel verso 4 induce Orfeo a volgersi indietro: lì mi voltò. La volontà di non tornare alla vita proviene da Euridice. I successivi vv. 5, 6, 7, hanno come soggetto Ed io, Orfeo; gli ultimi due versi, riferentesi all’accanto dell’ombra compagno (con bell’iperbato), indicano Hermes.
Dunque, lo spazio che occupano i personaggi, così come appaiono allineati sul bassorilievo, è: 4+3+2, con prevalenza conferita ad Euridice, l’ombra che non vuole tornare corpo d’amata. 

Descrizione - Ella appare nell’oscurità (a lumi velata), avvolta nelle brume silenziose e roride del regno dei morti, orma fioca di un’ombra che si spegne, con una mano posata sulla spalla di Orfeo, mentre l’altra sta abbandonata e raccolta. È lei che fa voltare (il latino respicere) il capo ad Orfeo.
Lei non si fa passivamente condurre da Hermes verso la luce; ormai, murata nell’oblio e nell’abbandono, ha accolto in sé il vuoto e il silenzio perenne e si nega all’amato. (Rilke: e non pensava all’uomo che era innanzi / non al cammino che saliva ai vivi).
Orfeo le si rivolge domandandole, con gesto interrogativo della mano, cosa voglia. Lei, dimentica del suo passato felice nell’amore, non intende tornare ad una vita che si sarebbe conclusa con un’altra morte. Le fitte allitterazioni della O, quasi un “ingorgo” vocalico, incombono sulla scena, apportando sensi enigmatici e sospesi, mentre A ed E portano morbidezze allusive.

Riflessione - Gli elementi presenti sono tutti corporei, anche se per Euridice si parla di un’inattingibile ombra: la mano (ripetuta 3 volte), il capo, il volto. Gli aggettivi che accompagnano i nomi sono incisivi ed essenziali: fioca, curva mano, muto bel volto, capo chino
Il buio che sommerge il tutto è vano, vuoto, cavo e silente. Al di là dell’intriso umidore, non ci sono altre sensazioni: l’oscurità e il vuoto impediscono percezioni visive e uditive. Le emozioni sono tutte interiori: Orfeo è franto, chiuso nel disperato gesto di richiamare in vita l’andato amore.
Ma il destino è più forte della morte, un’altra possibilità di vita è sbarrata, perché, come la prima, passerebbe ineluttabilmente per la strettoia del morire. Inutile far ripetere l’eterno ritorno.

Interpretazione - Il punto di vista espresso nella poesia rappresenta una torsione nello sguardo rispetto alla millenaria interpretazione del mito di Orfeo, che lo vede infedele al patto con gli dei di riavere Euridice impegnandosi a non voltarsi indietro.
Di fronte al groppo irriducibile della morte, che neanche la pietà degli dei può sbrogliare, un più moderno approccio si interroga sulla plausibilità del recupero di ciò che è ormai passato, e qui, di una seconda opportunità sulla terra, solo per amore.
Per questo Orfeo si volge ad Euridice e il suo silenzio è una risposta di morte: per bocca del messaggero degli dei (il dio dei viaggi e del lontano annunzio) il suo comportamento sancisce la volontà di restare negli inferi. Così l’ombra resta ombra, negata alla vita.
Per lei resteranno ad Orfeo, sulla terra, solo il pianto, il canto, la poesia.

era in se stessa, e il suo dono di morte / le dava una pienezza (Rilke)
Ornella Cazzador