Canto perché ritorni quando canto canto perché attraversi tutti i giorni miglia di solitudine per asciugarmi il pianto.
Ma ho vergogna di chiederti tanto e smetto il canto.
Canto e sono leggero come un fiore di tiglio canto e siedo davvero dove mi meraviglio:
all’inizio del mondo
c’è l’ombra bianca delle prime rose che non sono più amare perché canto e ti vedo tornare come tornano a riva le cose: senza passato, con il petto lavato dal mare.
Ecco!,
sali le scale come un ragazzino che scrolla dalle ciglia una corona di sale, dà due beccate d’indice alla porta, s’inginocchia in fretta, in fretta dice: “Vieni!, ti porto al mare” e mi sorride, dalla sua statura di nevischio e di rose, dalla sua garza d’anima salvata dalle piccole cose.
Dalla sua bocca bianca ride il mondo e ridono le cose trasparenti del cielo se, girandosi appena per pudore, dice: “Lo vedi, non ho più paura”
come parlando a un’ombra evaporata nell’innocenza
calma delle ginestre, a un fiatare di rose andato via per le finestre aperte fino alle fondamenta.
Così mi lasci nell’aperto privo di peso. E allora canto lo stare seduti nel vivo, tutto l’amore privo, che non smetta
la presenza perfetta di chi non pesa
ma è senza volontà, senza maceria, senza l’avvenimento della materia
QUADRETTO DI NATALE Ed anche quest’anno discende sovrana morbida – di vanagloria le strade della notte spoglia e le fatue luci alle case affonda e dallo spurio amore l’aria a colline stanche scioglie e nel buio le adunche stanze già spente di quiete e voce da quel nome distoglie – che al di là di mute memorie – ombra d’anima qui rinasce e questa scritta nebbia mai dissolve. G. Nigretti da Derive urbane 2012/13
IN VOLO da questa memoria di aria sempre con occhi riappare e in afra nebbia scende lenta e in muto tempo frana la mente già ferita da ferme ore morte che di vuoto colme stanno sul bordo di questa curva vita ombre brune spingono anni distanti – da sementi a sciame lasciate ai piedi ameni di menadi danzanti lungo la notte nulla a buio volo di luna una sirena che urla rimbomba domestici camposanti. G. Nigretti da Derive quiete 2010/11
da LASCIAMI, NON TRATTENERMI di M. Luzi Lui solo in quella solitaria casa coabitava con lui, lo seguitava dovunque e in ogni istante, gli teneva non indesiderata compagnia, ossessiva tuttavia, fisso, il pensiero della morte. Lui solo ma in lui quante esistenze sue ed altrui, semenze piovute chissà quando nella tumultuaria lontananza del tempo e dello spazio popolavano quelle vuote stanze – se non che signora occulta del luogo era memoria, memoria di memoria fino alla prealba della mente e della materia – e lui? Lui chi veramente era?
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