CANZONE di Maria Grazia Calandrone
Canto perché ritorni
quando canto
canto perché attraversi tutti i giorni
miglia di solitudine
per asciugarmi il pianto.
Ma ho vergogna di chiederti tanto
e smetto il canto.
Canto e sono leggero
come un fiore di tiglio
canto e siedo davvero
dove mi meraviglio:
all’inizio del mondo
c’è l’ombra bianca delle prime rose
che non sono più amare
perché canto e ti vedo tornare
come tornano a riva le cose:
senza passato,
con il petto lavato
dal mare.
Ecco!,
sali le scale come un ragazzino
che scrolla dalle ciglia una corona di sale,
dà due beccate d’indice
alla porta, s’inginocchia
in fretta, in fretta
dice: “Vieni!,
ti porto al mare” e mi sorride, dalla sua statura
di nevischio e di rose, dalla sua garza d’anima salvata
dalle piccole cose.
Dalla sua bocca bianca ride il mondo
e ridono le cose
trasparenti del cielo
se, girandosi appena
per pudore, dice: “Lo vedi, non ho più paura”
come parlando a un’ombra evaporata
nell’innocenza
calma delle ginestre, a un fiatare di rose
andato via per le finestre
aperte
fino alle fondamenta.
Così mi lasci nell’aperto privo
di peso. E allora canto
lo stare seduti
nel vivo, tutto l’amore privo,
che non smetta
la presenza perfetta
di chi non pesa
ma è senza volontà, senza maceria, senza l’avvenimento
della materia
è solo polvere che tende alla luce.
QUADRETTO DI NATALE
Ed anche quest’anno discende
sovrana morbida – di vanagloria
le strade della notte spoglia
e le fatue luci alle case affonda
e dallo spurio amore
l’aria a colline stanche scioglie
e nel buio le adunche stanze
già spente di quiete e voce
da quel nome distoglie
– che al di là di mute memorie –
ombra d’anima qui rinasce
e questa scritta nebbia mai dissolve.
G. Nigretti da Derive urbane 2012/13
IN VOLO
da questa memoria di aria
sempre con occhi riappare e
in afra nebbia scende lenta e
in muto tempo frana la mente
già ferita da ferme ore morte
che di vuoto colme stanno
sul bordo di questa curva vita
ombre brune spingono anni
distanti – da sementi a sciame
lasciate ai piedi ameni
di menadi danzanti
lungo la notte nulla
a buio volo di luna
una sirena che urla
rimbomba domestici camposanti.
G. Nigretti da Derive quiete 2010/11
da LASCIAMI, NON TRATTENERMI di M. Luzi
Lui solo in quella solitaria casa
coabitava con lui,
lo seguitava
dovunque e in ogni istante,
gli teneva
non indesiderata compagnia,
ossessiva tuttavia, fisso, il pensiero della morte.
Lui solo ma in lui quante esistenze
sue ed altrui, semenze
piovute chissà quando
nella tumultuaria lontananza
del tempo e dello spazio
popolavano quelle vuote stanze –
se non che signora
occulta
del luogo era memoria,
memoria di memoria
fino alla prealba della mente
e della materia –
e lui? Lui chi veramente era?