martedì 17 luglio 2012

Vento di maestrale

DALLA SCOGLIERA


quest’anno il mare è
bianco come una puttana
su la via – d’illusi piaceri

penetro l’umido grembo
col duro tedio dell’inverno
pago, nel vuoto appena colmo
di lattea schiuma – un sorriso

lenisce la prodiga scogliera
nel sole, di ombre si allunga
di anni un soave attimo di ore
d’amore, dove le colsi il salso nettare
di questa scogliera – oggi straniera.

G. Nigretti da Derive straniere 

mercoledì 11 luglio 2012

Cinico: un mascalzone ...


Wassily Kandinsky, Isolation, 1944, olio su tavola, collezione privata
Nell’età di Socrate, un filosofo di nome Antistene diede vita a un movimento che si perpetuò in tutto lo sviluppo della cultura antica. Erano i “cinici” e incerto è se questo nome derivi dal ginnasio di Cinosarge dove si riunivano i seguaci di Antistene, dei quali il più celebre fu Diogene di Sinope, detto il Cinico o – ipotesi più suggestiva – dal loro stile di vita naturale e animalesco «a imitazione del cane» (κυνισμός, “kunismòs”). I cinici teorizzavano l’autosufficienza dello spirito e consideravano ogni bene esterno come indifferente: ne derivava un’apatia che nulla poteva smuovere, neppure i piaceri o la fatica, e una conseguente libertà di vita e di giudizio.

Questo ostentato disprezzo verso le leggi morali, i costumi, le convenienze e gli ideali ha assunto con il tempo l’accezione di un comportamento cinico, al limite della deplorazione. E questo andiamo oggi a investigare nelle parole degli scrittori. Ambrose Bierce, per esempio, nel suo Dizionario del diavolo va giù duro: “Cinico: un mascalzone la cui vista difettosa vede le cose come sono, non come dovrebbero essere”. Più tagliente e raffinato, come suo solito, Oscar Wilde, che nel Ventaglio di Lady Windermere fa affermare a un personaggio: “Che cosa è un cinico? Uno che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna”. Ma un po’ cinico lo era lui stesso, tanto che nei suoi Aforismi arriva a dire “Il cinismo è l'arte di vedere le cose come sono, non come dovrebbero essere”. Indro Montanelli nell’Italia giacobina e carbonara li fotografa invece così, pensando probabilmente in particolare ai nostri connazionali: “I cinici sono tutti moralisti, e spietati per giunta”. Il critico dello spettacolo Aldo Grasso sul Corriere della Sera del 4 maggio 2010 vede la debolezza del lato negativo: “Il cinismo è la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze”. Qualche pensiero positivo? Più che altro si situano nel territorio di penombra tra bene e male: come quello di Giovanni Soriano in Finché c’è vita non c’è speranza: “Cinismo è dare alle cose il disprezzo che meritano”. E poi Lillian Hellman nelle Piccole volpi: “Il cinismo è un modo spiacevole di dire la verità”. E ancora Jean Genet: “Cinismo è il riuscito tentativo di vedere il mondo come è realmente”. Chiudiamo con un maestro del disinganno, Emil Cioran, che così lo definisce nella Provincia dell’uomo, opera del 1973: “Cinismo: non aspettarsi da alcuno più di quanto noi stessi siamo”.
da il Canto delle sirene

martedì 3 luglio 2012

Trenta giorni

 a mio padre e mia madre

LONTANO


Ora che vi ha ricongiunti
ancora una volta, insieme
per sempre – dove siete?

in quella terra di marmi
e ombre, o in quell’aria
di lumi elettrici e di fiori

sempreverdi? di sicuro lì
dove l’inverno ricopre di
salso i corridoi e le icone

dove l’estate esala gli odori
dai fiori di plastica e stagna
l’acqua nei bei vasi d’ottone

di sicuro lì – dove mi è ignoto
d’anni l’autunno – sta in esilio
sul terzo binario della stazione

con la primavera di alici e di croci;
è rimasta quella sbiadita nel bianco
e nero di una fotografia, che ho qui

lontano – fra le amare nebbie, dove
affondo ne le mute sillabe le stagioni e
quel che resta – e ancora mi commuove.


G. Nigretti da Derive d'aria

lunedì 2 luglio 2012

Partita

PARTITA

Anche le cicale tacciono
non c’è un alito di vento
non c’è – nemmeno l’aria
ne l’aria un silenzio vuoto.

Non passa un’auto – sì una
sola – corre muta, ha fretta.
Non passa nessuno – sì una
sola – lentamente, dove va?

In questa quasi sera, d’inizio
estate, stanno tutti rinchiusi
a l’aperto, in casa; – di fuori
non c’è vita (prima dov’era?)

stanno tutti insieme a vedere la partita.
Lontano abbaia un cane – abbaio anch’io
silenzio
Spagna batte Italia quattro a zero.
Fuori è ritornato un noioso rumorio.

G. Nigretti da Derive d'aria

mercoledì 27 giugno 2012

fatto gabbiano


PESCATORE D’INGANNI

Di notte, seggo scogliere
dove i sogni s’infrangono
di ami spargo il pelago specchio
– raggi e ruggine insacco.

Dalle onde emergono stelle
e lenze donzelle slamano miraggi
di orizzonti – a piombo mi lancio
nel sogno veleggio – fatto gabbiano
nel vento di sirena m’innalza un canto
soave su vertigini m’invola – le ali
in ferale naufragio d’uragano.

G. Nigretti da Derive amate

sabato 23 giugno 2012

I poeti


'I poeti sono la coscienza repressa della società contemporanea,
e a loro è riservata la morte sociale che spetta ai diversi'

I decaduti ripercorre, e rappresenta in versi, quest’epoca nichilista e autodistruttiva. È un libro che cerca nella descrizione senza infingimenti del reale - di una società in declino e senza redenzione - una religiosità disperata, un senso che custodisca il vivere e la vita insieme. E in una civiltà senza sentimenti, il poeta urla la sua presenza.
Ed è la poesia, la risposta che esorta ad accettare la sfida del nuovo giorno, in un sacerdozio che esprime un unico pensiero: l’arte come unica fonte ed unica finalità. Ed è forse proprio per questo che Dio dà i maggiori castighi agli artisti, poiché sono quelli che più lo tentano nelle sue verità. Il metro stilistico, nell’utilizzo della scritta parola, si concentra esclusivamente su vocabili di uso comune, che inseriti nella struttura poesia perdono il significato originario per acquisirne dei nuovi, cercando di indagare le molteplici occasioni che ogni idioma mette a disposizione.
La parola, in poesia, diventa dunque una continua ricerca del polisenso, nel proposito di slegare il linguaggio omologato e conformista che la tv impone, e cercando di tendere all’estremo l’arco espressivo di ogni singola, conosciuta, parola. Anche l’utilizzo dello spazio fisico della pagina bianca non è casuale: le pagine sono quadri, e le parole colori.
Quello che mi premeva nella creazione poetica, nella catarsi che porta a concepire il verso, è la tensione emotiva, di parole levigate come coltelli. Sentire che la pagina vibra alla lettura dei versi. La speranza era di svelare con ogni singolo componimento un tassello dal mosaico delle verità; al termine di questa esperienza esistenziale e artistica che ha generato I Decaduti, mi sono accorto che ogni poesia non fa altro che aggiungere una nuova tessera a quel mosaico; in un rimando continuo dove si incrociano le varie sensibilità artistiche, e dove ciascuno di noi trova la propria univoca traiettoria vitale ed espressiva, pur attraversando inevitabilmente altri percorsi che incrociano il nostro divenire.
Ed è questo il senso profondo del nostro discorrere, essere unici e composti simultaneamente da tutto quello che ci ha preceduto. Siffatta intuizione manca alla società contemporanea, scissa da se stessa, impegnata solo a produrre, per poi consumare, in una nevrotica coazione a ripetere. La raccolta raffigura le sfaccettature di questa drammatica limitazione che vive l’uomo odierno, che impone un individuo svuotato e senza memoria, senza tradizione, per omologarlo e considerarlo unicamente come potenziale acquirente di merci.
Quelle merci che non sono più un mezzo, ma un fine; perfino aggettivi da aggiungere al proprio Io. Ne I Decaduti, il poeta, coscienza repressa della società moderna, di fronte a questa prospettiva, dimostra un diniego emozionale, poiché percepita come antisociale e disumana.

Denudati perché
vagano
su decomposti mosaici.

Giorni,
si rincorrono,
nell’immoto divenire
di un uguale sguardo.

Ingabbiato,
nello zoo della città,
mi reincarno
ad ogni morte,

Esangue.

(Giuseppe Aletti)

venerdì 22 giugno 2012

presto scomparirà


AL CREPUSCOLO di Pär Lagerkvist

È al crepuscolo che ci si isola,
alla caduta del sole.


È allora che si abbandona tutto.
Il pensiero si chiude nella sua tenda di ragnatela
e il cuore dimentica i motivi della sua angoscia.
Il viandante del deserto abbandona il suo campo,
che presto scomparirà sotto la sabbia,
e prosegue il suo viaggio nella quiete della notte,
guidato da enigmatiche stelle.

domenica 17 giugno 2012

17 giugno

17 GIUGNO

Neri rondoni squassavano
le bianche terrazze in giro
giocando, il chiaro vespro
su l’odorosa Chjazze du Pèsce

i pescivendoli a voci rotte
pescavano, gli ultimi omini
smenando belle sode sardelle
e le ultime audaci seppie novelle.

In punta di piedi sorrisi, di fiato
sul limpido vetro disegnandoli
aspettavo, il tuo sempre buono
da le ombre in piazza di ritorno

sempre atteso, da quelli che avevi
oggi venduto per felini e pecorini.
Eri il pane antico su la bianca terrazza
de le serene serrate notti colore lontananza.

In nero rondone muto mutò
e agile in giro girava su le raggiate ali corvine
e per viuzze e palazzi portavi bolli e serti
di cozze nere pescate a corta lama aperte

e crude mangiate nel nostro ultimo incontro
primo nei tuoi occhi buoni di bianca morte umidi
e in questo stretto addio padre filiale m’affacciavo
e liberi volavano gialli canarini canterini da la terrazza

oggi di nero asfaltata a opachi specchi spenti
m’addormo, fra le ombre vuote di vino o di mute
passanti sotto e sotto crolli le terrazze sono crollate
disfatte da sigillate inferriate di blu asfalto ghiacciate.

(Polvere calda sfuma
il lontano corpo gravido
e dipinge i suoi lisci occhi neri
e veri e mai indiani e padani.

Oggi la rimpiango
dentro il fango già rappreso ieri
con le ultime bianche perle vere
accolte fra le sue socchiuse mani.)

E il nero rondone andò e alto veleggia ancora
e iniziò l’inferriata salda a fiorire di secchi serti

e venne Pandora con Caino e tutta gramigna seminò
e venne Brillina con pacchi e velli e donò un regalino
e venne Riccina con stille e stalle e lanciò un sassino
e venne Biondina con tacchi e spille e volle il librettino
e venne Leonina con tonno e mozzarelle e lasciò un pelettino


e giunse Giugno con le secche piogge e indietro impermeabili porta
e indosso commosso il sommo vuoto di questo ultimo annoso giorno.

G. Nigretti da Derive eretiche

mercoledì 6 giugno 2012

TRANI





È DOMENICA


e s’affolla di genti e d’ombre
la Villa – bell’anima antica
verde a giochi a illusi amori
fra le falciate aiuole – una poesia
di palme e lecci e pini e tamerici
(si apre un volo di nostalgia?)

in dedalo angolo al cuore
una luce di viali e fontanelle
spingono famiglie e amorini
e giovani mogli coi carrozzini
e vecchi stanchi sui pesanti anni
e tutti: a gesti a gridi di voci e cicale

vanno a le pensili ringhiere di sale
a vedere l’aroma verde del mare.
(è un rimpianto quel che m’assale?)
E s’alza d’esilio una nebbia accanto
a l’anima mia non affonda radici
in quel che sono vago straniero.

G. Nigretti da Derive straniere

giovedì 31 maggio 2012

Amare derive

da "Diario Di-aria"
...
                                        Relitti da Citera! o da Nassiria?

Risuonano resti fra le alghe silenziose
sconfinate schiume sbocciano il tuo viso
e insonni crepuscoli sfocano ne l’ultima voce.
Bambini nuotano nella prossima deriva

G. Nigretti frammento di "Bambini silenziosi" da Derive d'amore

mercoledì 23 maggio 2012

20 anni fa la strage di Capaci

Lunedì 23 maggio ricorre il 20° anniversario della strage di Capaci, l’attentato mafioso in cui persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro, i tre agenti della scorta.

PER GIOVANNI FALCONE di Alda Merini

La mafia sbanda,
la mafia scolora
la mafia scommette,
la mafia giura
che l'esistenza non esiste,
che la cultura non c'è,
che l'uomo non è amico dell'uomo.


La mafia è il cavallo nero
dell'apocalisse che porta in sella
un relitto mortale,
la mafia accusa i suoi morti.


La mafia li commemora
con ciclopici funerali:
così è stato per te, Giovanni,
trasportato a braccia da quelli
che ti avevano ucciso
.

(da Ipotenusa d'amore, La Vita Felice, 1994)

sabato 19 maggio 2012

SILENZIO

           La storia del silenzio sono le parole,
l’ascolto di quel silenzio è la poesia.


Hugo Mujica è nato a Buenos Aires nel 1942. Ha studiato Belle Arti, Filosofia, Antropologia Filosofica e Teologia. Questa varietà di studi è presente nella sua opera che comprende tanto la filosofia, come l’antropologia, o la mistica e la narrativa e soprattutto la poesia.
La sua opera poetica, iniziata nel 1983, è stata pubblicata in Argentina, Spagna, Italia, Francia, Messico, Stati Uniti, Cile, Slovenia e Bulgaria. Nel 2005 la casa editrice Seix Barral ha raccolto i suoi versi in Poesía completa 1983-2004, nel 2011 è uscito il suo ultimo libro di poesia Y siempre después el viento. La sua vita e i suoi viaggi sono stati il materiale della sua opera. Durante gli anni ’60 ha vissuto al Greenwich Village di New York come artista plastico e per sette anni ha condiviso il silenzio della vita monastica dell’Ordine Trappista dove iniziò a scrivere.

silenzio
alto silenzio

né una voce
che risvegli
distanze

la pelle dei tuoi occhi,
celeste
oltre
l’eterno

senza riposo

lunedì 7 maggio 2012

La donna e le colline

 

INCONTRO di Cesare Pavese

 

Queste dure colline che han fatto il mio corpo
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.

L'ho incontrata, una sera: una macchia più chiara
sotto le stelle ambigue, nella foschia d’estate.
Era intorno il sentore di queste colline
più profondo dell'ombra, e d'un tratto suonò
come uscisse da queste colline, una voce più netta
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.

Qualche volta la vedo, e mi vive dinanzi
definita, immutabile, come un ricordo.
Io non ho mai potuto afferrarla, la sua realtà
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.
Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto
dell'infanzia vissuta tra queste colline,
tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta
che abbia avuto mai l'alba su queste colline.

L'ho creata dal fondo di tutte le cose
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.

(da "Lavorare stanca", 1936)

mercoledì 2 maggio 2012

ROMA

dal Gianicolo
Roma, ne l'aer tuo lancio l'anima altera volante:
accogli, o Roma, e avvolgi l'anima mia di luce.


Caravaggio - Vocazione di San Matteo - San Matteo e l'angelo
San Luigi dei Francesi

Pantheon

Bernini - Estasi di Santa Teresa
Santa Maria della Vittoria

Bernini - Beata Ludovica Albertoni
San Francesco a Riva

Bernini - Piazza San Pietro

Michelangelo - Pietà

Fontana di Trevi

l'ora suprema calando con tacita ala mi sfiori
la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace;

Riva di Traiano

O nave che attingi con la poppa l'alto infinito,
varca a' misterïosi liti l'anima mia.


versi liberamente tratti da Roma di Giosuè Carducci