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lunedì 8 aprile 2019

fratello mio

Poesia di Tesfalidet Tesfom, migrante eritreo morto il giorno dopo il suo sbarco a Pozzallo del 12 marzo 2018. Dopo aver lottato tra la vita e la morte all’ospedale maggiore di Modica nel suo portafogli è stato ritrovato un foglio con un testo in tigrino ancora intriso di salsedine. Tesfalidet Tesfom è morto in Italia a causa della Libia.


Ho letto questa poesia, ed altre mie, alla XVII Giornata Mondiale della Poesia, Sala del Romanino, Musei Civici agli Eremitani, Padova


NON TI ALLARMARE FRATELLO MIO

Non ti allarmare fratello mio,
dimmi, non sono forse tuo fratello?
Perché non chiedi notizie di me?
È davvero così bello vivere da soli,
se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno?

Cerco vostre notizie e mi sento soffocare
non riesco a fare neanche chiamate perse,
chiedo aiuto,
la vita con i suoi problemi provvisori
mi pesa troppo.

Ti prego fratello, prova a comprendermi,
chiedo a te perché sei mio fratello,
ti prego aiutami,
perché non chiedi notizie di me, non sono forse tuo fratello?

Nessuno mi aiuta,
e neanche mi consola,
si può essere provati dalla difficoltà,
ma dimenticarsi del proprio fratello non fa onore,
il tempo vola con i suoi rimpianti,
io non ti odio,
ma è sempre meglio avere un fratello.

No, non dirmi che hai scelto la solitudine,
se esisti e perché ci sei con le tue false promesse,
mentre io ti cerco sempre,
saresti stato così crudele se fossimo stati figli dello stesso sangue?

Ora non ho nulla,
perché in questa vita nulla ho trovato,
se porto pazienza non significa che sono sazio
perché chiunque avrà la sua ricompensa,
io e te fratello ne usciremo vittoriosi
affidandoci a Dio.


LE RONDINI 

quando nere – sull’aspro inverno 
di vento maestro lontano – e
dall’innato volare in alto
le belle migranti colmano
con le grazie di stormi tersi
il riguardare di noi umani:
senza ali e da terre galere e

su onde avverse e su ferri a spini persi
stanno gli umani che mai rimiriamo.

G. Nigretti da Derive di carta, 2015


DI SOLE E POESIE

Qui che reale muro non abbiamo
con occhi colmi di sole miriamo
dalle salse ringhiere del blu mare
ombre di mille naufraghi passare e
di schiena già neri ci rigiriamo:
come ai morti di nostre macerie
lontane e fra gemiti di sangue

colano le notti di chi lì langue
qui di chi smena le poesie vane –.

G. Nigretti da Derive di scorie, 2016









sabato 1 ottobre 2016

poeta legge poeta



Poeta legge poeta – intervento di G. Nigretti

Con questa coinvolgente iniziativa Alessandro Cabianca ci ha proposto di portare con noi un poeta guida, un poeta di riferimento… 
Personalmente non è stata una facile scelta, almeno da un punto di vista cosciente, perché nella mia deriva poetica, più che ad un poeta guida, sento la vicinanza a diversi poeti italiani, in particolare:

Il Montale di Ossi di seppia  – per la poetica del male di vivere
Il Quasimodo di Ed è subito sera – per la poetica della solitudine dell’uomo
O il Giudici di La vita in versi – per la poesia come necessità esistenziale

Ho qui con me la poesia di Quasimodo "Vento a Tindari". Poesia che racchiude in sé l’inquietudine, il dramma e le contraddizioni dell'uomo moderno.
La mia vicinanza al Quasimodo di Vento a Tindari è connessa anche, e non solo, al tema dello sradicamento dell'uomo, per la sua, e mia, personale condizione di esule volontario dal sud al nord Italia.


VENTO A TINDARI

Tindari, mite ti so

Fra larghi colli pensile sull’acque
Delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,

assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima

A te ignota è la terra

Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,

e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;

soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.



Con la poesia dell’uomo esule, dell’uomo fuori suolo, "Vento a Tindari", ho portato, con grande umiltà, la mia "È domenica", poesia del 2011 che fa parte della sezione Derive straniere della raccolta Amare derive. 
Il tema è la classica passeggiata estiva dei tranesi (Trani è la mia città natale) nel giardino pubblico sul mare, che al sud chiamano Villa.


È DOMENICA

e s’affolla d’ombre e genti 

la Villa – bell’anima antica
verde a giuochi, a illusi amori
fra falciate aiuole – una poesia
di palme e lecci e pini e tamerici
(germoglia un fiore di nostalgia?)

in un angolo buio al cuore

una luce di viali e fontanelle
spingono famiglie e amorini
e giovani mogli coi carrozzini
e vecchi stanchi sui pesanti anni
e a gesti a gridi di voci e cicale

vanno tutti alle ringhiere di sale

a veder l’aroma acerbo del mare
(è un restare quel che m’assale?)
e s’alza d’esilio una nebbia accanto
all’essere mio non sfronda radici 
e in quel che ero oggi erro straniero.



Oggi l’esule, il vero e tragico uomo fuori suolo è il migrante… da Derive di carta del 2015 leggo "Gli umani", poesia scritta osservando uno stormo autunnale di rondini in volo


GLI UMANI

Quando neri dall’innato alto

andar via – sull’autunno aspro
di vento maestro lontano –
i migranti quieti colmano
con grazie di nugoli tersi
il riguardare di noi umani:
senz’ali e già di terre neri

su onde avverse e spini di ferro persi

stanno gli umani che mai rimiriamo.