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giovedì 31 dicembre 2020

se dormo



UNA NITIDA FIAMMA  di P. Valery


Una nitida fiamma abita in me,

la violenta vita vedo intera

al suo freddo bagliore: più non posso

amar soltanto se dormo i suoi gesti

di grazia, intrisi di luce. I miei giorni

di notte tornano a ridarmi gli sguardi. 


E dopo il primo sventurato sonno,

quando sparsa nel buio è la sventura 

stessa, tornano a vivermi, a darmi

degli occhi. E se poi la loro gioia

erompe, l’eco che mi sveglia un morto,

non altro ributtò sulla mia riva

di carne, e se il mio straniero riso impone, 

qual murmure di mare alla conchiglia 

vuota, al mio orecchio di dubbio, sul confine

d’un estremo stupore: se io sono

o fui, se veglio o dormo.

lunedì 25 maggio 2020

cangiare l'esistenza


IN GIORNI COME QUESTI, SPESSO di E. Montale

In giorni come questi, spesso
la tetraggine m’assale
e il vivere d'ora in ora
mi tortura. Ma arrivi tu
che sconfiggi la noia
coi tuoi discorsi variopinti.
Anche oggi cercheremo una breccia.
Una parola che ci possa salvare
e che ci tenga in bilico
sul confine ideale tra realtà
e fantasia potrà, anche
se per poco, cangiare l'esistenza.

martedì 18 giugno 2019

candido dedalo

A VUOTA CARNE 

torrida già sgorga dal vago chiaro 
l’ultima ora nel candido dedalo 
dove si ritorna solo a parole –:
per gli andati giorni di ombra logora 
che nuda a vuota carne si allungava
al vento caldo del brumoso mare
dell'indifferenza che ci consola

l’essere a muta tenebra di sole 
discende a sale di clessidra eguale.

G. Nigretti, da Derive in carne 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador

Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa,  un commiato di  due versi. Versi endecasillabi.
Il tessuto è denso di aggettivi: torrida, chiaro, candido, caldo, brumoso, muta, eguale, che rendono le emozioni, i pensieri, la soggettività del poeta, che riflette sulla condizione umana.  Gli aggettivi appartengono anche a sfere sensoriali diverse: torrida, caldo si avvertono con l‘epidermide; mentre chiaro, candido, con la vista; brumoso rende conto di un’atmosfera umida e liquida, che dal mare si alza e rende incerta e ingannevole la visione.

La tramatura delle parole è di quelle care al poeta: carne; parole; dedalo; mare, con tutto il peso che portano con sé,  segni distintivi del suo mondo poetico. Gli echi e i rimandi tra le parole percorrono il testo  fittamente, elaborando  un pensiero forte, trasformato in figure (per es., dedalo, clessidra…).
La carne sarà nuda e vuota nell’ultima ora di nostra vita, quando l’intrico labirintico nel quale siamo gettati apparirà ormai pervaso di candida luce; e quindi cadrà il velo sul nostro destino.  A questa luce si oppone l’ombra logora degli andati giorni. Un’altra opposizione è la muta tenebra di sole. L’immagine analogica della clessidra fa riferimento allo scorrere del tempo, nel quale  ha luogo l’umana vicenda  esistenziale. L’opposizione sole/sale associa il tema del sole (legato al mare) a quello simbolico del dolore.

Profilo retorico: Tra le figure del suono, molte le allitterazioni, che  rendono più incisivi gli stati d’animo e le impressioni del poeta.  Nel titolo,  in parte ossimorico (vuota carne) predomina il suono A che è la vocale aperta per eccellenza.
Primo verso: forte allitterazione del suono R che percorre tutto il verso, dando l’idea di qualcosa che scorre e pervade – essendo R un suono liquido e continuo –. Allitterazione anche del suono G – esplosivo e sonoro (sgorga e vago) che dà sonorità al verso e  ricostruisce foneticamente l’atto dello scaturire;  
Secondo verso: candido dedalo presenta quattro ripetizioni del suono D che è consonante dentale, esplosiva  sonora;
Terzo verso: uso del corsivo per mettere in rilievo il concetto dell’indicazione di un luogo (un dove, un altrove); dove si ritorna solo a parole corrisponde ad una perifrasi; 
Quarto verso: andati giorni: allitterazione di N, suono continuo, che dà l’idea di uno scorrere; ombra logora: allitterazione di R. anch’esso suono continuo, che qui dà l’idea di un logoramento che dura, pur parlando di ombra.  Allitterazione della vocale O. 
Quinto verso: nuda a vuota carne, tre parole corte (bisillabiche) che obbligano il lettore a considerarne la brevità, l’inconsistenza; pur accompagnandosi a carne, che è parola semanticamente piena.
Sesto verso: chiasmo in: vento caldo del brumoso mare. Il filo interno della poesia  si riallaccia a torrida con cui si apre la lirica;
Settimo verso: allitterazione di E, vocale centrale, che immaginativamente si lega al concetto di indifferenza=stato neutro; omogeneo strato di realtà – unico elemento, portatore di consolazione, che si offre all’uomo: l’indifferenza che ci consola.
Ultimi versimuta tenebra sinestesia; tenebra di sole: ossimoro. Sole in opposizione a sale (paronomasia) è l’immagine centrale.  Il sale è analogia che crea il contrasto di immagini e di sensazioni in quanto dà figurativamente l’idea della sofferenza. La clessidra suggerisce l’idea del tempo che scorre. Chiude il verso l’aggettivo eguale che rende tangibile la similitudine evocata. Anastrofe (figura dell’ordine) in: discende a sale di clessidra eguale.

Analisi tematica - La poesia inizia con il vago chiaro e il candido dedalo e termina con muta tenebra di sole. L’intera parabola esistenziale si apre e si chiude con queste suggestioni di colore. Gli aggettivi (legati alle sensazioni di vago e oscurità) sono usati in funzione tematica e dunque rappresentano il corso (il filo, lo stame) della vita, di cui l’uomo si trova (ahimè, inopinatamente) a disporre.

Ad aprire e chiudere la lirica, ci sono anche i verbi sgorga e discende, opposizione che genera un movimento. Impressione acustica la prima, visiva la seconda. L’immagine della clessidra pone il sigillo definitivo a questo faticoso scorrere. La vita umana è collocata nel tempo, vuoto e muto. In questo contesto le piccole storie umane sono sabbia che scorre – ignota, non individuata - che scivola dentro la clessidra. Mille storie senza colore che precipitano nell’imbuto del tempo. Chi le conosce?. Il poeta ne segue la lieve traccia, si riconosce nel destino comune, nell’essere che connota la nostra esistenza,  eguale allo scorrere di un granello di sabbia che, insieme  agli altri,  precipita nella clessidra. L’unica barriera consapevole che l’uomo può opporre al suo destino è appoggiarsi all’umana indifferenza (per Montale, la divina indifferenza).  
Tematicamente, le parole (con il peso esercitato dai suoni e dai significati che si intrecciano tra di loro con richiami semantici molto vividi) creano l’opposizione tra vita e morte . La morte è l’ultima ora; dove si ritorna solo a parole; quando ci sarà la vuota carne; in opposizione alla vita,  come ombra logora; che si allunga nel tempo (l’immagine della clessidra). Dunque,  una poesia di contrasti (nuda a vuota carne/ombra logora; sole/sale; l’indifferenza che ci consola), attraverso i quali il poeta non manca di interrogarsi sull’incomprensibilità  della vita, che ci conduce con la sua forza misteriosa verso il punto finale. 
Oscuramente forte è la vita (Quasimodo).  
Ornella Cazzador

lunedì 17 giugno 2019

l'indifferenza

L’INDIFFERENZA

della mano è cosa buona e sana
per le derive del raffermo andare –:
perché mai le importa se a onde ribatte
le irte scogliere di nostra sostanza
che a ogni istante non cessa di acclamare
su questa umana fossa senza carne
l’indifferenza che di mano sbatte

il naufragato essere del viandante
fra scorie sfatte di vane memorie.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019


Parafrasi a cura di O. Cazzador


Piano metrico - stilistico: poesia composta di sette versi, cui si aggiunge, dopo una pausa, un commiato di due versi. Versi endecasillabi.
Le parole tematiche emergenti nella poesia sono: mano; derive; fossa; carne, indifferenza; naufragato, scorie; memorie. Gli aggettivi, densi e pregnanti sono: raffermo; sfatte; vane. Queste parole ineriscono al gusto e al pensiero del poeta. Infatti tornano in altre poesie costituendo un coagulo di temi e connotando, in modo personalissimo, la sua voce poetica.
La poesia è alquanto enigmatica, e ciò lascia l’interpretazione indefinitamente aperta, come peraltro è tipico della poesia, il cui messaggio è sempre “aperto” e leggibile da più punti di vista.

Piano retorico: forte presenza di allitterazioni che vanno a rimarcare le evidenze che il poeta intende rilevare. Ne sono efficaci esemplificazioni, ad es., le espressioni:

per le derive del raffermo andare. Qui il poeta, attraverso la ripetizione ossessiva del suono R, dà il senso dell’errare lungo le derive sfatte dei nostri cammini; 
ribatte/le irte scogliere: l’allitterazione di R crea un paesaggio minaccioso e tempestoso, che evoca la vita umana; 
scorie sfatte: l’allitterazione di S. rende espressivamente l’idea del residuo, del marcio, del rifiuto abbandonato;
vane memorie; la presenza di N e M, entrambi suoni continui, con allitterazione di M, permette di sentire una continuità nelle impressioni legate all’emozione, al ricordo, al passato. 

I verbi ribatte/sbatte; l’espressione scorie sfatte, con quella doppia consonante interna, hanno una resa molto drammatica, espressa con la ripetizione della T (suono esplosivo e sordo) e la S sibilante. Ribatte e sbatte formano una rima; mentre sfatte è rimalmezzo. Tali verbi formano anche un enjambement con l’oggetto che segue nel verso successivo. 

I tre verbi ribatte, sbatte, sfatte attraversano diagonalmente il testo. La mano, invece, dà luogo a una lettura circolare, in quanto apre e chiude la lirica, conferendole centralità e aggrumando intorno ad essa il senso globale. 

Piano tematico e semantico: la tramatura è fitta di immagini: mano; derive; irte scogliere; umana fossa, vane memorie. Il centro di pensiero ruota intorno alla mano del poeta che registra, attraverso una scrittura poetica irta e puntuta (il pensiero va alla montaliana storta sillaba e secca come un ramo) la triste e opprimente condizione dell’uomo.

È cosa buona e sana per l’uomo raggiungere l’indifferenza di fronte alle forze che lo sovrastano, nella lotta a non soggiacere al peso di una condizione figurativamente rappresentata dalle irte scogliere. La mano che ribatte sul foglio di carta la sua opposizione alla realtà  della vita (umana fossa senza carne) non rimane inerte, al contrario, portatrice di una sua verità, non cessa di acclamare l’inganno del destino, e, dunque, (sempre alla luce della suggestione montaliana), la poesia deve esporsi e comunicare: a lettere di fuoco/lo dichiari (“Non chiederci la parola”). Cogliendo i rimandi intertestuali, la poesia si rende come corale definizione delle contraddizioni dell’esistere.

Le forze, oscure e minacciose, evocate sonoramente dai verbi e dal paesaggio - colto nella prospettiva verticale e in profondità: irte scogliere e fossa - si abbattono sull’uomo. E l’umana indifferenza issa il suo vessillo sul genere umano, sulla turba dei viventi (in altra poesia: morti), la cui sostanza è costitutivamente quella di esseri fragili, esposti ad ogni capriccio della natura, piegati a una vita condotta sul ciglio di una fossa, ridotti a essere senza carne - con la morte, meta irriducibile dell’esistenza. L’uomo appare figurativamente come viandante (collegato al raffermo andare); oppure il naufragato essere, collegato all’idea del mare: onde e scogliere. Significativa l’ultima immagine delle scorie sfatte, che suggella la poesia, e simboleggia l’umano destino di morte, di riduzione al nulla.

Nostra sostanza si vuol riferire non solo all’esperienza personale del poeta, ma alla volontà di riconoscersi in un dramma universale (nostra sorte, presente anche in altre poesie). Per questo, il poeta continua a interrogarsi sul suo destino e riconosce l’indifferenza (l’atarassia) come meta cui tendere. Ciò gli permette di guardare senza orrore la deriva, il naufragio verso cui va l’esistenza, e nello stesso tempo, di comunicarla, sia pure sul foglio di carta, realtà finita e inconsistente a sua volta, a tutti i suoi simili. A questo proposito, anche Pasolini afferma che la vita è restare dentro all’inferno, con la marmorea volontà di capirlo. Molto vicini gli echi da Eliot, in Gli uomini vuoti:

Siamo gli uomini vuoti
Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillio di una stella che si sta spegnendo

L’idea che una forza superiore pianti il proprio vessillo sul genere umano e dunque marchi la propria vittoria è molto presente anche nella poesia inglese: poesie di John Donne, e Shakespeare (Sonetti). In quest’ultimo, non è l’indifferenza, ma la morte a vincere. In John Donne, è la vita a vincere sulla morte. 
In-differenza si può leggere (tra i molti significati) anche come mancata differenza/non differenza: per tutti il destino è uguale: la fossa, colma di scorie; di memorie vane
Ornella Cazzador

giovedì 28 marzo 2019

amaro amare


A Giuseppe Nigretti di Marta Celio

amaro amare
derive
solatie
ctonie-
stanziali

eco // luce-ombra
senza solerti passaggi
ma forse
-forse-
affanni

poi 
voci di te in
anfratti:
cercano (te cercano)
e dietro Dolle
entro antri (più non canti)
ancora versi
a tratti a te 
stranieri, perché (forse?) parchi 

ora invece
vissuti /pelle a pelle/
ora
/all’incontrario/

ma dalle tue DI SANGUE e A  MERA  NOTTE
eccomi stare
sul “sorriso di onda
a franto di sponda spuma memoria

e “a tremole aorte
sale e s’aggruma
anche il mio occhio
certo 
trovare-trovarti
nella “notte lenta

ché nel lungo giorno svelto rimuore.
Solo a mera notte siamo in  voi voce”.

lunedì 4 giugno 2018

terra-carne


ESISTERE PSICHICAMENTE di A. Zanzotto

Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
– soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli –
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch’io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d’inferno
degli atomi e il conato
torbido d’alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

domenica 1 ottobre 2017

erra fermo

A SCORDATE DISTANZE

Spesso flottante erra fermo 
a musicali percorsi il pensiero

verso l’andante morgana al piano
forte – nel vano madrigale ferma 
mano afferra: come se fosse chioma
di liscia chimera ai versi l’arrovescia

e da sirena carne si spoglia
nel sovrano amore di carta
nel silenzio morbido del foglio
la brama liquefatta naufraga

lontana nell’intonata stanza 
di quiete sonante lievita 
e d’armonie dolci scodella
calde fragranze musicali 

mentre colmo la dissonante distanza
con le rimette di queste mute stanze.

G. Nigretti da Derive deserte 1994/01

sabato 17 giugno 2017

lenze donzelle


PESCATORE D’INGANNI

Di notte sillabo scogliere
dove le voci s’infrangono
spargo di noi il pelago piano e
squame di colmo iato insacco

sul rigo fiacco di carta e pelle
da lemmi all’infinito affiorano 
abbagli e canti di lenze donzelle

già sveglio da luoghi di pelago 
mi meno – fatto gabbiano veleggio
su apice astrale di segno morgano

verbale vertigine prueggio
lontano – su vocali sirene
verso predicato d’uragano.

G. Nigretti da Derive deserte 1994/01

venerdì 2 giugno 2017

la mano







A VISO DISTESO

Noi che come i morti viviamo
in un mondo di notte strano e
senza dubbio altero pensiamo
che sia quello più del dì il vero
sperando poi di ritrovarlo intero
come la mela che in eden seduce
dove l’innocente eva è la mano:

che scende e spenge la luce letale 
a viso disteso in sogno immortale.

G. Nigretti da Derive di luce 2017

domenica 5 febbraio 2017

questo mio sasso

PAROLE (DOPO L’ESODO) DELL’ULTIMO DELLA MOGLIA
di Giorgio Caproni

Chi sia stato il primo, non
è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.
Poi, uno dopo l’altro, tutti
han preso la stessa via.
Ora non c’è più nessuno.

La mia
casa è la sola
abitata.

Son vecchio.
Che cosa mi trattengo a fare,
quassù, dove tra breve forse
nemmeno ci sarò più io
a farmi compagnia?

Meglio – lo so – è ch’io vada
prima che me ne vada anch’io.
Eppure, non mi risolvo. Resto.
Mi lega l’erba. Il bosco.
Il fiume. Anche se il fiume è appena
un rumore ed un fresco
dietro le foglie.

La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
– da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.

Aspetto
E ascolto.

(L’acqua,
da quanti milioni d’anni, l’acqua,
ha questo suono
sulle sue pietre?)

Mi sento
perso nel tempo.
Fuori
dal tempo, forse.

Ma sono
con me stesso. Non voglio
lasciar me stesso – uscire
da me stesso come,
la notte, dal sotterraneo
il grillotalpa in cerca
d’altro buio.

Il trifoglio
della città è troppo
fitto. Io son già cieco.
Ma qui vedo. Parlo.
Qui dialogo. Io
qui mi rispondo e ho il mio
interlocutore. Non voglio
murarlo nel silenzio sordo
d’un frastuono senz’ombra
d’anima. Di parole
senza più anima.

Certo
(è il vento degli anni ch’entra
nella mente e ne turba
le foglie) a volte
il cuore mi balza in gola se penso
a quant’ho perso. A tutta
la gaia consorteria
di ieri. Agli abbracci. Gli schiaffi.
Alle matte risate,
la sera, all’osteria
dietro alle donne. Alte
da spaccar le vetrate.

Ma non m’arrendo. Ancora
non ho perso me stesso.
Non sono, con me stesso,
ancora solo.

E solo
quando sarò così solo
da non aver più nemmeno
me stesso per compagnia,
allora prenderò anch’io la mia
decisione.

Staccherò
dal muro la lanterna,
un’alba, e dirò addio al vuoto.

A passo a passo
Scenderò nel vallone.

Ma anche allora, in nome
di che, e dove
troverò un senso (che altri,
pare, non han trovato),
lasciato questo mio sasso?

domenica 1 gennaio 2017

deserti di occhi


DI ARDITI GIORNI 


gravido, è corsa gravosa parlare

quindi lemmi per squilli vi stilo
quando serpi spingono spilli
pendono pensieri privi di filo

su specchi deserti di occhi

e di voce, l’ombre vitree
di arditi giorni aleggiano

in oasi di piacere canino

dal vago cavo le varco e
verso scabbia pioggia e
arido d’amore declino

nostalgie di gerbido solco

penzolando zoppe rime
a infante seme sorrido

errando da nero migrante

nei vostri lacerati peluche
fugaci sostegni rammendo
dagli strappi rapidi passano

vuoti sciacalli riciclati

come vacche rumano fantasie nane e voi
di arditi giorni dimentiche
insieme sputate nere le ultime perle vere.


G. Nigretti da Derive eretiche 2009


martedì 12 luglio 2016

un filare


LA BICICLETTA di G. Pascoli

Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule messi.
Un battito . . . Vidi un filare
di neri cipressi.

Mi parve di fendere il pianto
d'un lungo corteo di dolore.
Un palpito . . . M'erano accanto
le nozze e l'amore.
dlin . . . dlin . . .

II
Ancora echeggiavano i gridi
dell'innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l'umida zolla.

Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.

Io dissi un'alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sè.
dlin . . . dlin . . .

III
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io ?
Che importa? Ch'io venga o tu vada,
non è che un addio!

Ma bello è quest'impeto d'ala,
ma grata è l'ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo . . . Già cala
la notte: io ritorno.

La piccola lampada brilla
per mezzo all'oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va. . .
dlin... dlin...

mercoledì 30 marzo 2016

immutabile ombra

L'IMMUTABILE di Walter de la Mare

Ecco le rose della sera,
la notte quieta in tenebre sospesa -
onde al galoppo volte a costellare
di luci vive a fonda collina -
e tu immota nel grembo della valle
nella tua quieta eterna meraviglia
in un sol grave sguardo chiudi tutto
quell'incanto di pace e di mistero.
La Bellezza celò il tuo corpo nudo,
sognò un tempo nei tuoi capelli accesi,
amabili e lontane.


OMBRA di Walter de la Mare

Se ne va pure il Bello della rosa
quando sfuma il suo fervido fulgore -
si allunga l'onda immobile sospesa
nella polvere, scende un tenebrore
che quel suo strano segno porta a casa.

Le bolle d'acqua effimere dipingono
sotto l'esile arco un'ombra evanescente
fino all'ultima stella il nembo ardente
dell'angolo in cornice fa brillare
il suo riflesso pallido e tremante.

La più amabile cosa della terra
ha un'ombra, una perenne oscura tinta
di morte che le infesta ogni respiro...
Ma chi potrà mai dire la Bellezza
dell'asfodelo dei cieli senz'ombra?

domenica 25 ottobre 2015

e rise


E L'AMORE GUARDÒ IL TEMPO E RISE di L. Pirandello

E l’amore guardò il tempo e rise,
perché sapeva di non averne bisogno.
Finse di morire per un giorno,
e di rifiorire alla sera,
senza leggi da rispettare.
Si addormentò in un angolo di cuore
per un tempo che non esisteva.
Fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
il tempo moriva e lui restava.

mercoledì 14 ottobre 2015

polare stella


SENZA PIÙ FILO

Stelle che mi obliate
sull’isola d’arcaici dedali
perché l’oscuro cielo sbalzate
d’argento a squame morgane?

È già disfatto da ombre umane
lucide ancora nell’acque terse
sempre d’amore hanno sete.

Oh stelle, dimentiche sovrane
perché a pietra veloce scendete
a ricamare d’amanti cascate sete?

D’alcova e di brace voce mute
ardono di stella polare lontana
spoglia dormiente al viandante

senza più filo di lana e orme 
su quest’isola fatta d’amore
pietra nuda d’icona e nome.

G. Nigretti da Derive di notte 2009/2010

sabato 10 ottobre 2015

frías cosas

AQUÍ TE AMO di Pablo Neruda

Aquí te amo.
En los oscuros pinos se desenreda el viento.
Fosforece la luna sobre las aguas errantes.
Andan días iguales persiguiéndose.

Se desciñe la niebla en danzantes figuras.
Una gaviota de plata se descuelga del ocaso.
A veces una vela. Altas, altas estrellas.

O la cruz negra de un barco.
Solo.
A veces amanezco, y hasta mi alma está húmeda.
Suena, resuena el mar lejano.
Este es un puerto.
Aquí te amo.

Aquí te amo y en vano te oculta el horizonte.
Te estoy amando aún entre estas frías cosas.
A veces van mis besos en esos barcos graves,
Que corren por el mar hacia donde no llegan.
Ya me veo olvidado como estas viejas anclas.
Son más tristes los muelles cuando atraca la tarde.

Se fatiga mi vida inútilmente hambrienta.
Amo lo que no tengo. Estás tú tan distante.
Mi hastío forcejea con los lentos crepúsculos.
Pero la noche llega y comienza a cantarme.
La luna hace girar su rodaje de sueño.

Me miran con tus ojos las estrellas más grandes.
Y como yo te amo, los pinos en el viento,
Quieren cantar tu nombre con sus hojas
de alambre.