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mercoledì 11 luglio 2012

Cinico: un mascalzone ...


Wassily Kandinsky, Isolation, 1944, olio su tavola, collezione privata
Nell’età di Socrate, un filosofo di nome Antistene diede vita a un movimento che si perpetuò in tutto lo sviluppo della cultura antica. Erano i “cinici” e incerto è se questo nome derivi dal ginnasio di Cinosarge dove si riunivano i seguaci di Antistene, dei quali il più celebre fu Diogene di Sinope, detto il Cinico o – ipotesi più suggestiva – dal loro stile di vita naturale e animalesco «a imitazione del cane» (κυνισμός, “kunismòs”). I cinici teorizzavano l’autosufficienza dello spirito e consideravano ogni bene esterno come indifferente: ne derivava un’apatia che nulla poteva smuovere, neppure i piaceri o la fatica, e una conseguente libertà di vita e di giudizio.

Questo ostentato disprezzo verso le leggi morali, i costumi, le convenienze e gli ideali ha assunto con il tempo l’accezione di un comportamento cinico, al limite della deplorazione. E questo andiamo oggi a investigare nelle parole degli scrittori. Ambrose Bierce, per esempio, nel suo Dizionario del diavolo va giù duro: “Cinico: un mascalzone la cui vista difettosa vede le cose come sono, non come dovrebbero essere”. Più tagliente e raffinato, come suo solito, Oscar Wilde, che nel Ventaglio di Lady Windermere fa affermare a un personaggio: “Che cosa è un cinico? Uno che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna”. Ma un po’ cinico lo era lui stesso, tanto che nei suoi Aforismi arriva a dire “Il cinismo è l'arte di vedere le cose come sono, non come dovrebbero essere”. Indro Montanelli nell’Italia giacobina e carbonara li fotografa invece così, pensando probabilmente in particolare ai nostri connazionali: “I cinici sono tutti moralisti, e spietati per giunta”. Il critico dello spettacolo Aldo Grasso sul Corriere della Sera del 4 maggio 2010 vede la debolezza del lato negativo: “Il cinismo è la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze”. Qualche pensiero positivo? Più che altro si situano nel territorio di penombra tra bene e male: come quello di Giovanni Soriano in Finché c’è vita non c’è speranza: “Cinismo è dare alle cose il disprezzo che meritano”. E poi Lillian Hellman nelle Piccole volpi: “Il cinismo è un modo spiacevole di dire la verità”. E ancora Jean Genet: “Cinismo è il riuscito tentativo di vedere il mondo come è realmente”. Chiudiamo con un maestro del disinganno, Emil Cioran, che così lo definisce nella Provincia dell’uomo, opera del 1973: “Cinismo: non aspettarsi da alcuno più di quanto noi stessi siamo”.
da il Canto delle sirene